Di conseguenza, gli amanuensi di Cristo, interpolatori di "Antichità", incapparono in una seconda, grave, "cantonata cronologica", al punto di contraddire gli stessi vangeli: la crocefissione di "Gesù" risulta eseguita molti anni prima dell'uccisione di Giovanni Battista; mentre gli evangelisti attestano che questi viene ucciso tre anni prima del Salvatore. Per la storia, viceversa, la morte del Battista fu ordinata da Erode Antipa oltre 15 anni dopo la "resurrezione di Gesù" riferita nel "Testimonium Flavianum", cioé tra la fine del 35 e l'inizio del 36 d.C., poco tempo prima che Antipa venisse sconfitto in guerra dal suo ex suocero, Areta IV, Re degli arabi Nabatei, nell'estate del 36 d.C. (Ant. XVIII 116/9). Da notare che in questo passaggio Giuseppe Flavio riferisce: "il verdetto dei Giudei fu che la rovina dell'esercito di Erode fu una vendetta di Giovanni (Battista), nel senso che Dio giudicò bene infliggere un tale rovescio a Erode". Quindi sia Dio che il popolo giudaico, nel 36 d.C., non sanno dell'Avvento di un Messia divino, autore di prodigi straordinari e osannato dalle folle come "Re dei Giudei" in Gerusalemme, incriminato dal Sinedrio e giustiziato da Pilato: niente di quanto magnificato nei vangeli "rivelati da Dio" e nell'illusorio TF viene confermato dalla storia.Ma, dal momento che il "Testimonium Flavianum" (con la morte e risurrezione di Gesù Cristo) è un falso creato da Eusebio nella sua "Historia Hecclesiastica", lo stesso vale anche per i TF trascritti posteriormente, da altri scribi cristiani, appositamente per correggere il contenuto dottrinale, marcatamente errato, ostentato nel primo TF.
Intenzionalmente gli amanuensi hanno fatto apparire che fu Giuseppe Flavio a scrivere il TF in "Antichità Giudaiche", pertanto ognuno di questi brani - "corretto" in epoche posteriori al IV secolo in nove TF "apocrifi" ripescati fra le pieghe della letteratura cristiana, ad iniziare da san Girolamo - va collocato esattamente al medesimo posto in "Antichità Giudaiche" e riscontreremo sempre l'assurdità che Gesù fu "sacrificato" da Ponzio Pilato quando il Prefetto di Giudea era Valerio Grato. Ecco spiegato il motivo per cui tutti i TF "aggiustati" sono brani singoli, avulsi dal testo di "Antichità", ma inseriti in "cronache" estemporanee al di fuori del preciso contesto storico; brevi passaggi che dimostrano la forzatura della intromissione spuria, in un testo estraneo, per fini esclusivamente dottrinali.
Questo aspetto concernente l'errore cronologico del TF, coerente con un "Atti di Gesù" ormai desueto, viene sistematicamente ignorato dai moderni analisti cristiani, ad iniziare dal maggior esegeta cattolico, John P. Meier, e dalla critica in generale ... sicuramente quella riferita dai mezzi di comunicazione di massa, fedeli epigoni del millenario potere delle Chiese di Cristo. Così conclude Wikipedia:
"Purtroppo, come devono ammettere gli stessi studiosi:
«[…] la critica testuale non è in grado di risolvere la questione. […] Per esprimere un giudizio sull'autenticità del brano, non ci resta che esaminarne il contesto, lo stile e il contenuto»".
Poiché lo stile e il contenuto sono gli stessi da molti secoli e non sono serviti affatto agli esegeti, tranne formulare giudizi ipotetici soggettivi, manca l'unica analisi del TF che noi abbiamo appena esaminato: il contesto storico basato su dati precisi ... ma i suddetti "studiosi" quanti secoli intendono aspettare per concludere? Quindi procediamo con gli studi.
Come si spiega che l'anacronismo del "Testimonium Flavianum" (peraltro risultante solo in "Antichità Giudaiche" di Giuseppe Flavio ma non in "La Guerra Giudaica") abbia potuto superare indenne la secolare verifica critica degli amanuensi fino ad entrare in maniera univoca nell'apparato critico dei manoscritti sottoposti alla traduzione curata da Benedikt Niese?
Tenuto conto degli innumerevoli abbagli storici presi dagli scribi di Dio, evidenziati negli studi già pubblicati, non dobbiamo meravigliarci del fatto che la dottrina abbia sempre prevalso in loro rispetto agli eventi reali, pertanto alcune vicende, da essi inventate e fatte passare per vere, non furono mai sottoposte dagli scrivani a letture comparate al fine di salvaguardarsi preventivamente da possibili contraddizioni. Va sottolineato, inoltre, che qualsiasi curatore della traduzione di "Antichità Giudaiche" nelle lingue odierne, a partire dal Niese in poi, è stato, e sarà anche in seguito, obbligato a scegliere tra le stesse "famiglie" di manoscritti già selezionati dalle autorità ecclesiastiche e, inevitabilmente, riporterà l'errore cronologico della morte di Cristo riferita nel TF accreditato allo storico ebreo.
Da evidenziare che "La guerra Giudaica" fu stilata nel "Codex Sangallen Gr 627" nel X secolo, mentre i più antichi manoscritti della "Historia Ecclesiastica" di Eusebio sono il "Codex Laurentianus 70,20" ed il "Codex Laurentianus 70,7" risalenti entrambi al secolo successivo. Ciò significa che gli amanuensi benedettini dell'Abbazia di Saint Gallen non potevano possedere copia della "Historia Ecclesiastica" col TF di Eusebio perché verrà scritta un secolo dopo.
Una dottrina che si evidenzia in maniera addirittura ingenua laddove nel TF del XVIII Libro di "Antichità" gli amanuensi riportarono in modo inequivocabile "Egli era il Cristo", mentre nel XX Libro, in riferimento a Giacomo apostolo scrissero un generico "fratello di Gesù detto Cristo". La diversa modalità delle due espressioni fu imposta loro dalla consapevolezza che il secondo evento si svolgeva all'interno del Sinedrio giudaico: un tribunale i cui Anziani, Dottori della Legge, Scribi e Sommi Sacerdoti non avrebbero mai accettato di accusare il fratello di un Messia giudeo. Quindi i calligrafi di Dio non trovarono niente di meglio che aggiugere "detto", quasi si trattasse di un soprannome, convinti, nella loro ignoranza di cultura giudaica, che questo bastasse a stornare l'interesse di un Sinedrio verso la propria divinità salvatrice: un Re condottiero, prescelto da Yahweh, che quel popolo aspettava come il Salvatore (Yeshùa) per liberare la Terra Promessa dal giogo romano. In definitiva "detto Cristo", inteso come soprannome, messo in bocca ad un ebreo sinedrista, si dimostra un ridicolo espediente, sufficiente, tutt'al più, a convincere ingenui ignoranti, ma offensivo, per la sua ipocrisia, nei confronti di coloro che seguono questi studi.
Il semplice pronunciamento della parola "Messia" all'interno del Sinedrio avrebbe imposto ai suoi membri di aprire un processo per stabilire se si trattava dell'atteso "Salvatore" giudaico oppure dello scemo del villaggio. Ed è proprio la mancata cronaca di Giuseppe, concernente il "processo a Gesù Cristo", che ne rende impossibile l'avvenimento reale. Infatti, dal momento che lo scriba ebreo ha sentito il dovere di riferire nei minimi particolari il "processo a Giacomo fratello di Gesù detto Cristo", per lo stesso preciso dovere lo storico avrebbe avuto un'enormità di motivi a rendere pubblica la cronaca di un Re Messia giudeo fatto condannare dal Sinedrio di Gerusalemme, con relativa via crucis, poco prima che in quella città nascesse lui, Giuseppe, il futuro storico sinedrista. A maggior ragione perché (secondo i vangeli) furono i Giudei ad osannare Gesù come loro Re al momento del suo ingresso trionfale nella "Città Santa" ... salvo poi "ripudiarlo" a furor di popolo e finendo addirittura con chiederne l'esecuzione a Ponzio Pilato.
Per contro, nel TF del XVIII Libro di "Antichità Giudaiche" (alla pari del TF riferito nella "Historia Ecclesiastica" di Eusebio), gli interpolatori cristiani, indossati necessariamente i panni di Giuseppe Flavio, furono obbligati a fargli dire che "Cristo fu accusato dai principali nostri uomini", evitando all'ebreo di nominare il "Sinedrio", come invece risulta in tutti i vangeli. Gli scribi sapevano bene che, se fosse stato vero, lo storico avrebbe dovuto riferire quell'Atto del Sinedrio con la relativa condanna del Messia ebraico: un fatto talmente eclatante da non poter essere passato sotto silenzio; viceversa, lo sappiamo tutti, in "Antichità" non troviamo l'Atto del Sinedrio con la condanna di Gesù. Tanto più che gli amanuensi imposero allo storico ebreo nel TF il pronunciamento che "i Profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di lui (risurrezione e miracoli)". Altra assurdità, sempre basata sull'ignoranza della "tradizione degli antichi padri": usanze che Giuseppe trascrisse in "Antichità", profezie comprese, senza che gli risultasse tale predizione contenuta nel TF. Un particolare, quest'ultimo sui "Profeti", lo ritroviamo anche nel "Testimonium Agapianum" in arabo, a dimostrazione della stessa dottrina che accomunava il Vescovo Agapio con il suo potente predecessore Eusebio di Cesarea ideatore del primo TF e, al contempo, denuncia la incomprensione delle opere dello storico ebreo da parte di Eusebio, nonché delle tradizioni giudaiche, al punto di indurre in errore anche Agapio in quanto sua fonte.
Ma la inadempienza più grave, commessa volutamente da Eusebio come da tutti i successivi interpolatori del falso TF, riguarda la mancata citazione di "Cristo, Re dei Giudei".
L’Atto di Accusa di interesse primario nel diritto romano, il "crimen perduellionis" (basta consultare un vocabolario di latino), consisteva nel sovvertimento del potere prefettizio del Legato imperiale incaricato dal Cesare e conseguente Colpo di Stato, attuato da Gesù: un suddito dell’Impero, proclamato "Re dei Giudei" dagli abitanti di Gerusalemme in contrasto alle disposizioni dell’Imperatore.
“La gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù era a Gerusalemme, prese dei rami di palme e andò verso di lui gridando: Osanna, benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d’Israele” (Gv 12,12).
"Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero (Gesù) da Pilato e lo accusarono: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo (Messia) Re» (Lc 23,1).
“Pilato gli disse: «Dunque tu sei Re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono Re” (Gv 18,37).
“Pilato disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa» (Gv 19,4).
"Se (Pilato) liberi costui (Gesù) non sei amico di Cesare! Chiunque si fa Re si mette contro Cesare" (Gv 19,12).
Questa "cronaca" evangelica è talmente falsa che ha costretto tutti gli amanuensi ad ignorarla in qualsiasi formulazione del "Testimonium Flavianum". Gli ipocriti scribi di Dio, come le attuali eminenze grigie di tutte le sette cristiane, hanno sempre saputo che se avessero fatto "testimoniare" a Giuseppe Flavio la crocifissione di un "Messia, Re dei Giudei", da parte del Prefetto Ponzio Pilato, obbligatoriamente avrebbero dovuto riportare l'intero processo a Gesù (così come riferito nei vangeli) sia in "Antichità Giudaiche" che in "La Guerra Giudaica", laddove lo storico riferisce in entrambe le opere le gesta di Ponzio Pilato. L'assoluzione di Pilato in favore di un sedicente "Re dei Giudei", così come narrata nei vangeli, sarebbe stato un evento impossibile per la Legge di Roma che lo giudicava "alto tradimento" contro i poteri costituiti dello Stato imperiale: ergo, l'assoluzione di Pilato è semplicemente assurda e non avrebbe mai potuto essere decretata. In realtà gli scribi cristiani hanno inventato un falso processo per far ricadere sui Giudei la colpa della crocifissione del loro Messia al fine di non farlo apparire un Re ribelle (zelota) che si oppose al dominio romano. A tal fine gli scribi evangelisti fecero dichiarare al popolo giudaico la sua autodannazione eterna:
"Pilato disse loro: “Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?” Tutti gli risposero: Sia crocifisso!” Ed egli aggiunse: “Ma che male ha fatto?”. Essi allora urlarono: “Sia crocifisso!” Pilato, presa dell’acqua si lavò le mani davanti alla folla: “Non sono responsabile di questo sangue, vedetevela voi”. E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli!” (Mt 27, 22/25).
Con questo brano demenziale della eterna auto dannazione giudaica lo scriba cristiano sottoscrive la falsità del “processo a Gesù”, ideato al solo fine escatologico della dottrina: sacrificio, sangue, morte e resurrezione per la salvezza dell’umanità.
Con buona pace dell'ormai defunto professore Shlomo Pinés e delle onnipresenti eminenze grigie di tutte le "tribù" cristiane e dei loro capi; questi ultimi, calcolatori interessati a non perdere la faccia spesa a difendere una ridicola deposizione del TF, al punto di riscriverlo essi stessi ex novo, ancora oggi, sulla scia del precursore John Paul Meier, un fatto che non ci stupisce dal momento che "lupus mutat pilum, non mentem" ... Più esplicito il motto italiano: "il lupo perde il pelo ma non il vizio".
I dati riportati, analizzati con il semplice razionalismo storico, valgono per tutti i TF "corretti" dagli scribi successivi ad Eusebio. Studi che da soli bastano a chiudere definitivamente la questione del "Testimonium Flavianum", ormai in coma irreversibile pur se tenuto in vita grazie ad un "accanimento terapeutico" dei mass media cristiano-dipendenti impegnati a nascondere il definitivo "De profundis" già salmodiato dalla storia.
Parte III
E' doveroso ricordare ai lettori che i più antichi manoscritti del Nuovo Testamento, quelli che utilizzarono i Clerici per indottrinare la intera cristianità, gli stessi di oggi, risalgono al IV secolo, stando alla datazione paleografica di massima adottata dai chiesastici. Per contro, tramite precise analisi, potremo stabilire che la data della compilazione evangelica canonica, sempre valida, risale al 381 d.C. Tali manoscritti sono il "Codex Sinaiticus 01" e, in prima stesura, il "Codex Vaticanus Graece 1209".
Questi due codici vennero redatti qualche anno prima della Vulgata latina di san Girolamo quando il Cattolicesimo fu imposto dall'imperatore Teodosio come religione unica di un Impero Romano prossimo alla disgregazione finale.
In precedenza, il Cristianesimo primitivo era costituito da molte sette divise fra loro per il modo con cui i rispettivi Vescovi - ognuno dei quali si dichiarava depositario della autentica "rivelazione divina" - rappresentavano il "Salvatore Universale" ebreo, Figlio di Dio, garante della resurrezione del fedele dopo la morte, ottenuta in cambio della sua redenzione.
La "gnosi di Dio" dei molti predicatori Cristiani differiva soprattutto nella consustanzialità (stessa sostanza e natura) di Cristo con Dio Padre, sancita nel Concilio di Nicea del 325 d.C. in opposizione ai Cristiani Ariani che non la riconoscevano. Il dogma teologico niceno dette la stura a feroci dispute fra Cristiani, ciononostante, in seguito la dottrina verrà ancor più ampliata sino a comprendere la Santissima Trinità. Il nuovo Credo venne ufficializzato nel Concilio di Costantinopoli del 381 d.C. dopo che …
380 d.C. Editto di Tessalonica:
"Imperatores Gratianus, Valentinianus et Theodosius Augusti.
Vogliamo che tutte le nazioni che sono sotto nostro dominio, grazie alla nostra carità, rimangano fedeli a questa religione che è stata trasmessa da Dio a Pietro Apostolo … cioè dobbiamo credere, conformemente con l'insegnamento apostolico e del Vangelo, nell’unità della natura divina di Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono uguali nella maestà e nella Santa Trinità. Ordiniamo che il nome di Cristiani Cattolici avranno coloro i quali non violino le affermazioni di questa legge. Gli altri (Cristiani) li consideriamo come persone senza intelletto e ordiniamo di condannarli alla pena dell’infamia come eretici, e alle loro riunioni non attribuiremo il nome di Chiesa; costoro devono essere condannati dalla vendetta divina prima, e poi dalle nostre pene, alle quali siamo stati autorizzati dal Giudice Celeste". Decretato in Tessalonica, nel terzo giorno delle calende di marzo, nel quinto consolato di Graziano Augusto e nel primo di Teodosio Augusto.
Questo decreto-dogma fu stilato dalla cancelleria costantinopolitana di Teodosio I e da lui emanato con il sigillo imperiale, valido in tutte le Province del neonato Impero Cattolico Romano sotto il papato del Pontefice Massimo, Damaso I (santificato); sarà poi inserito anche nel Codice di Teodosio II e rimarrà in vigore per sempre. Tutt'oggi i Cristiani lo richiamano quotidianamente con l'ancestrale "segno della croce", senza riflettere che in esso non si esplicita la quarta divinità cattolica allora sconosciuta: la "Madre di Dio". Fino al 380 d.C. i Vescovi e gli Imperatori non avevano ancora inventato la Mater Magna "Madonna".
Il Clero Cattolico imperiale, nel successivo 431 d.C., finalmente, decretò solennemente che in futuro l'umanità dovrà adorare la "Θεοτόκος" (Theotòkos): la nuova Grande, Universale, Dea Supervergine.
La necessità di trascrivere nuovamente i vangeli derivò dall'obbligo di adeguarli alla dottrina cattolica, vincente sulle altre cristiane dichiarate eretiche dopo numerosi Concili tenuti nel corso del IV secolo. La nuova (allora) Bibbia greca e latina costituì la fonte che, dalla fine del IV, inizi V secolo, permise agli amanuensi di trascrivere nei Conventi i molti vangeli per essere diffusi dai Clerici, inizialmente nelle Province e, successivamente, fino a raggiungere i più remoti territori allora conosciuti. Fu una propagazione capillare, organizzata dall'Impero e avviata dai Clerici un decennio prima del Concilio di Efeso del 431 d.C. Ma i numerosi codici in loro possesso contenevano le "Lettere di Paolo" nelle quali era descritta la dottrina, vigente in precedenza, non quella evolutasi successivamente. Il Credo iniziale non contemplava l'esistenza della Supervergine "Madre di Dio", ecco spiegato il motivo per cui il super apostolo dei Gentili, Paolo, non sapeva dell'Annunciazione, né dell'esistenza della "città di Nazaret", né di san Giuseppe.
Gli scribi delle lettere di "Paolo di Tarso" non potevano conoscere la delibera di Efeso del 431 d.C. perché redassero le epistole prima di quella data, e addirittura prima del "Concilio di Costantinopoli" del 381 d.C., vale a dire prima della stesura dei nuovi vangeli con le rispettive "Natività" di Luca e Matteo. Infatti, basta leggere la completa documentazione delle "Lettere" da cui risulta, tutt'oggi, che san Paolo non conosce la "Madre di Dio" e "Nazaret".
Va precisato che, all'epoca di Eusebio di Cesarea, furono stilati i primi vangeli canonici e in essi vennero introdotte le dovute modifiche:
"Individuare le divine Scritture autentiche da quelle eretiche, assurde ed empie, composte da ciarlatani, strumento dell'attività diabolica" (HEc. III 26,1).
A conferma di quanto riferito dallo stesso Eusebio, rispetto ai numerosi vangeli "apocrifi", "gnostici" e "pseudo" - a noi pervenuti con datazioni paleografiche antecedenti - i Codici Vaticanus e Sinaiticus, diversamente da tutti gli altri, sono gli unici che riportano nominativi di personaggi famosi, veramente esistiti, sia nel mondo romano che in quello giudaico. Nondimeno questi due codici non furono i primi "canonici" e lo si evince dal fatto che, oltre le "Lettere di Paolo" divergenti dalla dottrina successiva, il numero con i nominativi degli apostoli, riferiti da Eusebio nella sua "Historia Ecclesiastica", non corrispondono a quelli degli attuali vangeli. Infatti, nel I studio abbiamo già constatato la sovrapposizione degli apostoli "Giuda" e "Tommaso", che il vescovo identifica in uno solo, cancellando in concreto uno dei "dodici" (HEc. I 13,11):
"«Dopo l'ascensione di Gesù, Giuda, detto anche Tomaso, mandò ad Abgar l'Apostolo Thaddaeus»",
mentre, per quanto concerne la fine di uno dei due apostoli di nome Giacomo (in questo caso Giacomo detto "il Giusto o il Minore"), Eusebio fornisce una "testimonianza" del tutto sconosciuta alla odierna "tradizione":
“In realtà vi furono due Apostoli di nome Giacomo: uno il Giusto, fu gettato giù dal pinnacolo del Tempio e bastonato a morte da un follatore; l’altro fu decapitato” (HEc. II 1,5).
Viceversa la Chiesa Cattolica, come le altre sette cristiane, tutte dichiarano che "Giacomo il Minore" venne lapidato il 62 d.C. (verifica leggendo il III studio su "Giacomo il Minore").
Sempre Eusebio di Cesarea (morto nel 340 d.C.), nella sua "Historia Ecclesiastica", scritta entro il 325 d.C., pur riferendo le gesta dei dodici Apostoli, non conosce "Natanaele". Ciò significa che questo apostolo è stato inserito nel vangelo di Giovanni dopo il Concilio di Costantinopoli del 381 d.C.
Verifica analoga la eseguiamo con "Maria Maddalena" della città di Màgdala (Migdal): una donna discepola di Gesù, altra protagonista sconosciuta da Eusebio di Cesarea, ma inventata nel 381 ed inserita successivamente nel Nuovo Testamento con l'incarico di "comprovare" la risurrezione del Cristo. Altro protagonosta evangelico, sconosciuto ad Eusebio, è il famoso criminale "Barabba" il quale, secondo i vangeli canonici attuali, venne scarcerato con conseguente crocifissione di Cristo, mentre, secondo altri vangeli, risultava scritto "Gesù Bar Abba", inteso come "Gesù figlio di Dio", il quale venne liberato da Ponzio Pilato, causando un grave problema teologico per la Chiesa (vedi l'analisi del "Processo a Gesù" nel X studio). Oltre a ciò lo stesso Eusebio di Cesarea ignora il miracolo di Cristo che scacciò il demonio nella Sinagoga di Cafàrnao.
Chiunque, ad iniziare dai credenti, deve ammettere che l'attestazione divergente sulle persone degli apostoli, i protagonisti evangelici e le loro gesta, oltre a far perdere credibilità verso le "sacre scritture" (fatto ineluttabile con la dirompente storia), porta a concludere che Eusebio possedesse un altro codice biblico contenente documenti neotestamentari parzialmente diversi da quelli attuali; un dato di fatto che trova riscontro con i diversi "Atti di Gesù", richiamati dallo storico Vescovo, in cui risulta che Cristo venne crocefisso sotto Valerio Grato, il Prefetto antecedente Ponzio Pilato.
La necessità di rivedere il "Codice Eusebiano" si spiega con i numerosi e cruenti Concili che si sono tenuti nel corso del IV secolo, successivi a quello di Nicea, finalizzati a definire la "sostanza" del Salvatore universale: un concetto di "divinità" che si completerà in epoca successiva a quella di Eusebio fino a comprendere la unigenita "immacolata concezione" della Madre di Dio.
Stando al vangelo letto da Eusebio, il vescovo affermò nella sua "Historia Ecclesiastica" (III 20):
"Giuda, detto fratello del Signore secondo la carne ... ".
Questa dichiarazione viene sempre confermata da san Girolamo nel 392 d.C. in "De viris illustribus" cap. IV dedicato all'apostolo "Giuda, fratello di Giacomo..." aggiunta a "Giacomo, soprannominato il Giusto, detto fratello del Signore secondo la carne" (ibid cap II). Entrambe le citazioni dimostrano che meno di un secolo dopo la morte di Eusebio i Cristiani operarono una successiva evoluzione teologica della “SS. Beata Maria”, Madre di Dio - super vergine, prima, durante e dopo il parto - come decretato definitivamente nel Concilio di Efeso del 431 d.C.
Al fine di giustificare teologicamente il decreto episcopale, prima di tale evento, lo scriba cristiano che si spacciò per l'evangelista Luca, con quattro secoli di ritardo dalla presunta nascita ecclesiastica di "san Luca", rivide il vangelo inserendovi la "Natività Verginale" e il neonato dogma della "Theotókos" (Θεοτόκος) "Madre di Dio" (Lc 1,43), in modo che la "volontà dell'Altissimo" venisse riconosciuta a Efeso. Fu così che ebbe inizio il culto mariano della nuova divinità, sebbene non accettato da tutti i cristiani.
Evidenziamo che nel canone neotestamentario è compresa la "Lettera agli Efesini" scritta da Paolo di Tarso. In essa il super apostolo si rivolge "ai Santi che sono presenti ad Efeso credenti in Gesù Cristo ..." e ricorda loro "il Ministero a lui affidato da Cristo" ma non può sapere che ad Efeso vi dimorava san Giovanni apostolo e la SS. extra Vergine, Madre di Dio, per il semplice fatto che "Efeso" non era ancora stata prescelta dai Vescovi cattolici.
Giovanni, prima di Paolo, fu investito dello stesso Ministero dal
Redentore sulla croce con il preciso obbligo di prendersi cura di Sua
Madre senza specificare dove; fu appunto il Concilio ecumenico tenutosi nel 431 d.C.,
appositamente ad Efeso, a definire le scarne informazioni evangeliche e
patristiche decretando che "Giovanni prese con sé Maria e venne a Efeso".
In contrasto alla decisione sinodale, la lettera di san Paolo disconosce la venuta ad Efeso della beatissima Vergine e di san Giovanni perchè gli amanuensi la scrissero prima che Maria venisse dichiarata dai Vescovi "Madre di Dio": un dettaglio fondamentale che dimostra l'invenzione della Θεοτόκος (colei che genera Dio) nella "Natività" di Luca, scritta dagli amanuensi dopo la lettera di Paolo "Agli Efesini". Inoltre, poiché in nessuna delle lettere paoline si fa menzione della "Madre di Dio" e di "Nazaret", ciò dimostra che gli scribi cristiani (quando compilarono le lettere a nome di un inesistente san Paolo) non erano a conoscenza della futura evoluzione della dottrina "dettata" dai Vescovi quando optarono per il culto mariano, opportunamente mutuato dalla Dea Isis egiziana, dalla Dea Cibele e dalla Dea Artemide, chiamata "Mater Magna" dai Romani, quindi adattato al nuovo Credo. In particolare il culto popolare di Artemide era rappresentato ad Efeso da un imponente Tempio (l'Artemision) dedicato alla Dea pagana, pertanto fu soppresso definitivamente; anche il tempio, una delle sette meraviglie del mondo classico, venne definitivamente raso al suolo nel 401 d.C. per ordine dell'Arcivescovo cristiano di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo ... atto per cui verrà beatificato in eterno da tutta la cristianità.
Altra conferma della variazione nella dottrina cristiana precedente, voluta dagli Imperatori cattolici e sancita nel Concilio di Costantinopoli del 381 d.C., la ritroviamo nella "Lettera ai Romani" di Paolo. Scorrendo l'epistola, risulta che Paolo di Tarso saluta le trenta personalità più note della Chiesa di Roma ma non cita il nome del "collega" san Pietro, che ne era il capo. Gli scribi di Dio redassero le "Lettere di Paolo", a suo nome, prima di sapere che la religione cattolica venisse "trasmessa da Dio a Pietro apostolo" ed imposta in tutto l'Impero Romano con l'Editto di Tessalonica del 380 d.C. Un semplice stratagemma, quest'ultimo, voluto dal Pontefice Massimo, Papa Damaso I, per dimostrare che la sua discendenza nella più importante carica di Vescovo di Roma fu dettata dal Salvatore, quindi, al fine di accrescere il suo potere vincolante al di sopra di qualsiasi legge umana, in quanto dettato da Dio, fece modificare il vangelo così:
"E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16,18).
Ma il cesaropapista Damaso, ignorando le testimonianze delle "lettere di san Paolo", commise un gravissimo errore perché, nella sua "Lettera ai Romani", Paolo non conosce l'ordinamento evangelico del "Primato di Pietro", superiore a tutti gli altri apostoli, che gli avrebbe imposto di salutare i Cristiani di Roma, rivolgendosi, innanzitutto, al loro Capo, san Pietro, in qualità di Primo Papa e Vescovo di Roma. La prova che il "Primato di Pietro", appena citato, è una variante evangelica creata nel Concilio di Costantinopoli del 381 d.C. (in esecuzione dell'Editto di Tessalonica), ci viene dagli scritti di Eusebio di Cesarea (morto nel 340 d.C.) il quale nella sua "Storia Ecclesiastica", pur descrivendo dettagliatamente la vita degli apostoli, non conosce il "Primato di Pietro". Addirittura, anche nel canonizzato "Atti degli Apostoli" (scritto prima del 325 d.C.) non risulta, come ad Eusebio e nelle lettere di Paolo, che san Pietro era il "Vescovo di Roma", primo Papa e capo assoluto di tutti i Cristiani.
A tal proposito, a conferma della presenza di san Pietro come Vescovo di Roma, ne citiamo la biografia fatta da san Girolamo in qualità di segretario di Papa Damaso I, alla fine del IV secolo. I dati contenuti del testo erano ancora validi alla fine del IX secolo, datazione della trasrizione dei primi codici geronimiani, in cui furono attestate ex novo dagli amanuensi le vite de "Gli uomini illustri" (De viris illustribus):
“Simone Pietro, figlio di Giovanni, nato a Betsaida in Galilea … dopo essere stato Vescovo di Antiochia, nel secondo anno dell’Imperatore Claudio (42 d.C.), si portò a Roma per debellare Simone Mago. Ivi occupò la cattedra episcopale per venticinque anni, fino all’ultimo anno di Nerone (68 d.C.), vale a dire fino al quattordicesimo anno del suo regno, sotto di lui ricevette la corona del martirio” (Op. cit. Cap. I).
L'informazione relativa alla biografia di san Pietro, Vescovo di Roma già nel 42 d.C., dimostra che questa fu inventata, dopo l'Editto di Tessalonica, dal Pontefice Massimo dell'Impero, Damaso I, ma in contrasto con la precedente "Storia Ecclesiastica" di Eusebio. Questa prova - assommata alla precedente in cui risulta che san Paolo, nella lettera "agli Efesini", non sapeva della Madre di Dio e della sua venuta ad Efeso con san Giovanni apostolo - vanifica la datazione dei vangeli trascritti in "vetus latina" nei Codici "Vercellensis", "Veronensis" e "Corbeiensis", la cui trascrizione è stimata arbitrariamente al 3° secolo per tentare di eludere il problema della "natività", oltre a quello del primato del Vescovo della Chiesa di Roma, dal momento che entrambi i dogmi sono contemplati in tutti i vangeli latini.
Un'altra variante dei vangeli, posseduti dal Vescovo Eusebio di Cesarea, poi modificati in conseguenza della dottrina eleborata nel Concilio di Costantinopoli del 381 d.C., riguarda l'introduzione di altri due nuovi protagonisti evangelici: "Nicodemo" e "Giuseppe di Arimatea". Questi risultano sconosciuti ad Eusebio perchè appositamente inventati, dopo la sua morte, in esecuzione di tale Concilio al fine di evitare a Maria (appena dichiarata "Madre di Gesù unigenito, per opera dello Spirito Santo") di richiedere Lei personalmente, a Ponzio Pilato, la salma del Salvatore onde evitare alla Madonna di dichiarare che il Padre di Gesù Cristo era "lo Spirito Santo". Approfondire questo argomento nell'VIII studio alla voce "Arimatea".
Quattro secoli dopo il Concilio di Efeso del 431, il Patriarca di Costantinopoli, Niceforo I (758-828), possedeva ancora la copia di un vangelo di Matteo in aramaico e ne confrontò la lunghezza con il Matteo canonico, di conseguenza scrisse che nel primo risultarono 300 righe in meno. L'osservazione fatta dal Metropolita nella sua opera "Sticometria", riguardo la evidenziata “mancata genealogia del Salvatore” dimostra l'assenza della “nascita verginale” nel vangelo primitivo di Matteo, non ancora inventata ma successivamente “introdotta” insieme alla Eucaristia (in quanto entrambi culti pagani) nell'originale Messia ebraico. Ciò spiega perchè gli Ebrei cristiani (messianisti), e le rispettive sette dei Nazirei e degli Ebioniti (i Poveri) non riconoscevano i vangeli canonici.
Oltretutto, a riprova delle modifiche apportate ai documenti neotestamentari primitivi, rispetto a quelli canonici fatti giungere sino a noi, è doveroso ricordare l'ignoranza da parte di san Paolo (morto nel 68 d.C.) concernente il martirio di Giacomo il Minore morto nel 62 d.C. (vedi apposito III studio); una disinformazione condivisa da san Giovanni (morto nel 104 d.C.), dall'evangelista Luca (morto nel 93), e da tutti i discepoli e successori del Salvatore, Padri apostolici ed apologisti, compreso san Girolamo e gli amanuensi del IX secolo che trascrissero il suo "De viris illustribus". Tutto ciò conferma quanto abbiamo precisato all'inizio di questa analisi ben sapendo che la falsificazione del martirio di Giacomo "il Minore" - nella cronaca del Sinedrio di Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio - è stata eseguita nei Codici redatti dagli amanuensi dall'undicesimo secolo in poi.
In merito alla presunta veridicità dei "testi sacri", è doveroso evidenziare anche la falsità del celebre episodio riferito nel "vangelo di Giovanni" (Gv 8,1-11) in cui si descrive un Gesù che salva dalla lapidazione una adultera decretando la famosa frase "Chi è senza peccato, scagli la prima pietra". In realtà questo evento non risulta scritto in alcun vangelo sino a tutto il IV secolo d.C. Non ne parla il Codice Sinaitico, come non ne parla il Codice Vaticano; infatti, il primo documento a narrare tale sublime circostanza del "Salvatore" è il successivo "Codice Bezae", risalente al V secolo: cioè lo stesso secolo in cui fu inventata, per la prima volta, l'ennesima parabola di Cristo.
Dopo queste semplici constatazioni è una forzatura insensata dare per scontato che i vangeli canonici attuali corrispondono a quelli originali sin dal primo secolo, di conseguenza il francobollo-frammento "7Q5" (cm. 3x4) come il frammento di Rylands "P52" (cm. 6x9) non contengono alcun elemento significativo, né storico, né letterario. Ma il fatto che gli studiosi spiritualisti azzardino arbitrariamente elaborazioni "sticometriche" per abbinarle ai vangeli canonici dimostra che non hanno alcuna prova dell'esistenza di questi "sacri testi" nei primi due secoli. "Sticometria" era il termine usato per indicare la misurazione del numero delle righe intere di un manoscritto, esattamente come il lavoro appena riferito del Patriarca Niceforo di Costantinopoli. Ciononostante, dopo aver alterato e dilatato il significato di "sticometria" fino all'assurdo con un preciso intento falsario, i paleografi credenti evidenziano alcune lettere o sillabe dell'alfabeto greco - rinvenute in un antico frammento di papiro, datato a loro convenienza, e spacciato come l'intero vangelo - per poi "adattarle" e interpolarle con una ostentata sicumera dove fa loro più comodo, fino al plagio letterario ... pur di indottrinare gli sprovveduti.
In ogni caso ciò che più conta, allo scopo di far luce sulle vicende reali, sono i dati importanti che ritroviamo solo nella documentazione neotestamentaria canonica, diversamente da quella apocrifa. Eventi avvalorati appositamente dagli amanuensi grazie alla storiografia prelevata dagli Archivi di Stato (dove erano conservati i rotoli allora intatti dei cronisti imperiali del primo secolo), dopo che il Cattolicesimo, nel quarto secolo, conquistò il potere assoluto a discapito delle altre correnti cristiane che furono eliminate unitamente agli altri credi.
Lo scopo fu di rendere veritieri gli eroi del Cristianesimo primitivo facendoli interagire con personaggi reali e famosi operanti nell'Impero sin dall'avvento del "Salvatore". Così furono comprovate le biografie dei Santi con informazioni storiche basilari, tali, che ci hanno permesso di individuare e datare gli eventi, esattamente come abbiamo operato con la patrologia riguardante gli apostoli e tutti i "successori di Cristo". Gli stessi elementi che, osservati attraverso precise analisi pubblicate nel presente sito, ci hanno consentito di provare l'inesistenza dei personaggi mitologici, creati dagli evangelisti a supporto della loro religione, ad iniziare dal mito del Redentore Universale.