Nel "Protovangelo di Giacomo" leggiamo:
“Elisabetta, sentito che si cercava Giovanni, lo prese e salì sulla montagna (22,3). Erode cercava Giovanni…e disse loro: «è Giovanni colui che regnerà su Israele»” (op.cit. 23,1-2).
In questo vangelo, un manoscritto stimato più antico dei Codici Vaticano e Sinaitico, perché Erode il Grande ancora vivo (sarebbe morto il 4 a.C.) avrebbe dovuto sapere della nascita di un bambino ebreo di nome “Giovanni”, il quale, se fosse stato "Giovanni Battista", non era destinato a divenire “Re dei Giudei”? … Diritto che spettava alla stirpe degli Asmonei? E di quale “montagna” poteva trattarsi se non quella di Gàmala? … la patria di Giuda il Galileo e dei suoi figli: Giovanni, Simone, Giacomo, Giuda e Giuseppe.
Procedendo con la ricerca, potremo stabilire che i primitivi "vangeli di Giovanni”, degli Esseni, non erano manoscritti fatti da “Giovanni”, ma narravano di “Giovanni Messia Salvatore”.
Nello studio precedente abbiamo verificato l'inesistenza di san Giovanni apostolo, "il prediletto del Signore". Per tale dimostrazione, data la lunga vita e la veneranda età accreditata al "discepolo che Gesù amava", inevitabilmente, ci siamo avvalsi delle testimonianze dei "successori degli apostoli", dei quali il primo é stato Simone "parente di Gesù", fatto passare come secondo Vescovo di Gerusalemme, dopo Giacomo il Minore.
"Successori" riferiti dalla "tradizione ecclesiastica", pervenutaci da antichi manoscritti che continueremo a confrontare fra loro per verificare cosa riuscirono ad inventarsi i "Padri" cristiani al fine di "testimoniare" l'esistenza di san Giovanni. Furono obbligati a farlo perché avevavo capito che "il discepolo che Gesù amava" era "Giovanni Gesù", ma, in base al loro intento, se Giovanni invecchiò nessuno avrebbe mai potuto sospettare che era lui Gesù "Crocifisso".
Individuati tutti e quattro i fratelli, compreso il più giovane, "Giuseppe" (vedi XV studio) ... nella storia non si deve ricercare un inesistente "Gesù Cristo risorto", ma “Giovanni”: un comune mortale, personaggio di primo piano, famoso tra i Giudei ancor più dei suoi “fratelli”. Intenzionalmente, il suo appellativo venne scartato in quelle versioni dei vangeli di Matteo che lo rappresentavano insieme a tutti i figli di Maria; viceversa, lo abbiamo visto nel I argomento, gli ecclesiastici scelsero i manoscritti nei quali non fu mai nominato contemporaneamente agli altri quattro fratelli perché lui era il vero “soggetto”, indicato con “costui” per riempire il "vuoto" lasciato da quel nome.
Eccetto il falso "Testimonium Flavianum" e il finto "Giacomo, fratello di Gesù
Cristo", ricercare autentiche tracce di "Gesù Cristo" nelle opere di
Giuseppe Flavio é un'impresa vana a priori poiché lo storico era ebreo e
tale rimase sino alla morte. Nel XIII argomento, infatti, dimostriamo
che "Gesù", "Cristo" e "Nazareno" non erano nomi propri ma titoli
divini.
Giovanni e i suoi fratelli furono promotori di imprese rischiose sino al martirio, imprese di capi guerriglieri integralisti, di “falsi profeti sobillatori”, di “fanatici nazionalisti”, di ... Zeloti.
E questo Giovanni, uguale a "Gesù" sino alle "impronte digitali", lasciate dai "cibi proibiti ed Egli aveva abbandonato le tradizionali regole di purità" (Bellum VII 264) mangiati senza aver fatto le rituali abluzioni prima del pranzo, alla stregua di Cristo, la storia ce lo restituisce attraverso un ricordo, lontano nel tempo, rievocato dallo storico ebreo Giuseppe Flavio a guerra finita, dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio da parte di Tito: un intero capitolo di ben 22 paragrafi.
Leggiamolo attentamente e scopriremo insieme le gesta di Giovanni il Nazireo, che, oltre un secolo dopo, gli Esseni lo identificarono come il “Salvatore, Figlio di Dio” a Lui consacrato col voto di nazireato, un “avvento” da loro già profetato nei rotoli del Mar Morto.
I futuri cristiani gesuiti, dopo aver riformato la originale dottrina essena con l’adozione del rito eucaristico teofagico pagano, lo chiameranno:
Gesù Cristo, il Nazareno, il Messia, il Salvatore, il Redentore, il Signore, il Figlio di Dio … Dio.
Quando lo storico ebreo, Giuseppe Flavio, fariseo conservatore filo romano, si apprestò alla stesura del cap. 8°, Libro VII, de “La Guerra Giudaica”, stava ultimando la descrizione dell’olocausto ebraico provocato dall’intervento delle legioni romane che, dopo aver distrutto, nel 70 d.C., Gerusalemme e il Tempio, avevano risottomesso l’intera Giudea.
In questo momento del racconto, agli ordini del Legato imperiale, Governatore di Siria, i Romani stanno marciando verso Masàda, l’ultima fortezza giudaica rimasta da espugnare. Siamo nel 73 d.C., quasi tutti i ribelli sono stati catturati, uccisi, giustiziati o dispersi; la “guerra santa” giudaica sta finendo e lo storico ebreo si accinge a narrare la fine dello zelota Eleazar, nipote del più famoso rivoluzionario ebreo, dall'avventi di Cristo in poi: “Giuda il Galileo” di Gàmala, descritto come nemico dei Romani e ripetutamente citato nelle sue opere.
Giuseppe Flavo lo ha sempre ribadito: tutti i mali che si abbatterono sui Giudei, dall’epoca del censimento (6 d.C.) di Publio Sulpicio Quirinio e successiva, ebbero inizio da Giuda il Galileo, il fariseo ribelle, “Dottore della Legge di grande potere”, ideologo della “quarta filosofia, una novità finora sconosciuta”.
Il Signore di Gàmala e i suoi discendenti, tutti Zeloti (Farisei rivoluzionari), uno dopo l’altro, furono ritenuti dal cronista ebreo i principali responsabili della dottrina che ha portato alla catastrofe finale appena descritta. Sarà stata la sorte, ma, poiché tutto ebbe inizio da Giuda il Galileo, secondo questa rievocazione, tutto stava per concludersi con l’ultimo suo discendente: “Eleazar bar Jair” (Lazzaro, figlio di Giairo: questi aveva sposato una figlia di Giuda).
Dunque, con un ricordo di vicende lontane nel tempo, così inizia la rievocazione, fatta dallo storico ebreo Giuseppe, narrata in “La Guerra Giudaica”, Lib. VII cap. 8°:
252 “Al governo della Giudea, morto Basso, era succeduto Flavio Silva. Questi, vedendo che tutto il resto del paese era stato sottomesso con le armi, tranne un’unica fortezza ancora in mano ai ribelli, raccolse le forze che stavano nella regione e mosse contro di essa. Masàda è il nome di questa fortezza. 253 A capo dei sicari c’era Eleazar, uomo potente, discendente di quel Giuda (il Galileo) che, come sopra abbiamo detto, aveva persuaso non pochi Giudei a sottrarsi al censimento fatto a suo tempo da Quirinio nella Giudea. 254 A quell’epoca (6 d.C.) i sicari ordirono una congiura contro quelli che volevano accettare la sottomissione ai Romani e li combatterono in ogni modo come nemici, depredandoli degli averi e del bestiame e appiccando il fuoco alle loro case”…
Abbiamo letto e riletto l’intero capitolo 8° e, in tutti i paragrafi riportati, dal 252 al 275, non abbiamo riscontrato alcuna discontinuità cronologica nella descrizione, drammatica, delle vicende e i protagonisti coinvolti. Lo storico, una volta citato il “Giuda del censimento”, fautore di una guerra civile tra Giudei, non riesce a trattenere i ricordi dolorosi che coinvolsero la sua famiglia a partire da quei gravi eventi. Descrive episodi di violenza e crudeltà facendo nomi in sequenza, risalendo nel tempo, sino ai due ultimi paragrafi … in cui Giuseppe conclude:
274 “A esprimere degnamente il dovuto compianto per le vittime della loro (degli Zeloti) ferocia non mi sembra questo il momento più adatto e perciò ritorno al punto in cui avevo interrotto la narrazione” e, infatti, si riallaccia alla narrazione iniziale: “275 Il comandante romano (Flavio Silva) mosse alla testa delle sue truppe contro Eleazar e la sua banda di sicari che occupavano Masàda, e ben presto si assicurò il controllo dell’intera regione stabilendovi dei presidi nei luoghi più opportuni … Predisposto tutto ciò, Silva si dedicò all’assedio…” (di Masàda).
Quando lo scrittore, al par. 254, parla di “quell’epoca” si riferisce ad un periodo storico, epico ma remoto, da cui iniziarono vicende degne di essere ricordate, non ad un passato prossimo, come la guerra giudaica ancora in corso, pur se quasi finita, mancando solo Masàda, l’ultima roccaforte ancora occupata dai "sicari" (i sicari costituivano il braccio armato del movimento zelota) che sta per essere espugnata dai Romani. Premessi i dovuti chiarimenti, dopo i par. 252 e 253 appena riferiti, riprendiamo a leggere attentamente dal:
254 “A quell’epoca (6 d.C.) i sicari ordirono una congiura contro quelli che volevano accettare la sottomissione ai Romani e li combatterono come nemici depredandoli degli averi e del bestiame e appiccando il fuoco alle loro case; 255 sostenevano, infatti, che non c’era nessuna differenza fra loro e gli stranieri dato che, ignobilmente, buttavano via la libertà per cui i Giudei avevano tanto combattuto, dichiarando di preferire la schiavitù sotto i Romani. 256 Ma queste parole erano un pretesto per ammantare la loro ferocia e la loro cupidigia. 257 In realtà, quelli che si unirono ad essi (i sicari) nella ribellione e presero parte attiva alla guerra (causata dal censimento) contro i Romani, ebbero a subire da loro atrocità più terribili, 258 e quando poi vennero ancora convinti di falsità nella giustificazione che adducevano, ancor più essi (i sicari) perseguitarono chi, per difendersi, denunciava le loro malefatte. 259 Quell’epoca (lo ribadisce ancora) fu certamente così prolifica di ogni sorta di ribalderia fra i Giudei, sicché nessun delitto fu lasciato intentato, né chi volesse escogitarne di nuovi riuscirebbe a trovarli: 260 a tal punto erano tutti bacati nella vita privata come in quella pubblica, e facevano a gara tra loro nel commettere empietà contro Dio e soprusi contro i vicini: i Signori opprimendo le masse e le masse cercando di eliminare i Signori. 261 Infatti gli uni avevano una gran sete di dominio, gli altri di scatenare la violenza e di impossessarsi dei beni dei ricchi. 262 Furono dunque i sicari quelli che per primi (dal 6 d.C.) calpestarono la Legge e incrudelirono contro i connazionali, senza astenersi da alcun insulto per offendere le loro vittime, o da alcun atto per rovinarle. 263 Eppure Giovanni fece sì che anche costoro (i sicari) sembrassero più moderati di lui; egli infatti non soltanto eliminò chiunque dava giusti e utili consigli, trattando questi (uccise i Sadducei e i Farisei conservatori che lo blandivano) come i suoi più accaniti nemici fra tutti i cittadini, ma riempì la Patria di un’infinità di pubblici mali, quali inevitabilmente doveva infliggere agli uomini chi già aveva osato di commettere empietà verso Dio. 264 La sua mensa era infatti imbandita con cibi proibiti ed aveva abbandonato le tradizionali regole di purità, sì che non poteva più far stupore se uno, che era così follemente empio verso Dio, non osservava più la bontà e la fratellanza verso gli uomini”.
Alt. A questo punto, gli storici mistici entrano in fibrillazione e aggiungono una nota “chiarificatrice” per spiegarci che si tratta di “Giovanni di Giscala” della guerra del 66/70 d.C.; ci vogliono far credere che questa descrizione è una ripetizione di avvenimenti appena successi; invece no! Sappiamo che stiamo leggendo un ricordo riferito all’epoca di Giuda il Galileo e successiva. Lo storico ha iniziato a parlare dell’illustre rivoluzionario e il capo zelota “Giovanni” che cita subito dopo, evidentemente, fu una persona famosa, per essere ricordato dopo tanto tempo e, come protagonista delle stesse gesta, legato ideologicamente a Giuda il Galileo.
Abbiamo, sin qui, cercato un “Giovanni” nelle opere dello storico e, da come si presenta questo personaggio, pensiamo valga la pena indagare se la sua descrizione è coerente al Signore di Gamala e agli altri suoi figli; quindi, visto che è il primo a succedergli, proviamo a considerare l’ipotesi, da verificare, che sia il suo primo discendente, “Giovanni”, cui è stato tolto “figlio di ?” (bar): un fatto impossibile da imputare a Giuseppe Flavio, il quale, quando descrive i protagonisti, in prima citazione li identifica sempre con il patronimico.
Intanto facciamo una prima constatazione: il “Giovanni di Giscala” del 66 d.C., che gli esegeti clericali hanno ripescato per “incarnare” il “Giovanni” rievocato, non incendiava i poderi nelle campagne della Giudea; piuttosto, consapevoli che stiamo leggendo vicende risalenti ad un’epoca iniziatasi dal censimento di Quirinio in poi, sappiamo che chi incendiava le case erano gli “apostoli”, fra cui “Giovanni”, qualificato nei Vangeli fra i “Boanerghes” (Mc 3,17 - vedi I studio) che vuol dire “Figli dell’Ira” (di Dio) e, come tali, distruggevano e depredavano i borghi filo romani che non erano dei loro.
Luca, nel suo Vangelo, riferisce cosa dissero gli “apostoli” contro un villaggio della Samaria che non li aveva “ospitati”: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc.9,53 - l’ipocrisia della traduzione si commenta da sé); o lo stesso “Gesù”: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc.12,49). Da notare che, “per primi i sicari” (erano zeloti armati di "sica", un pugnale a punta curva, da cui "sicario" cioè lo stesso appellativo apostolico di “Giuda iscariota”, come chiarito nel I studio) erano entrati in azione a partire dalla rivolta del censimento.
Ma andiamo avanti con la lettura … e con l’ipotesi:
265 “D’altra parte, poi, Simone figlio di Giora quale delitto non commise? Quale sopruso risparmiò a coloro che come liberi cittadini lo avevano eletto a loro capo? …
Stop. In vicende risalenti a mezzo secolo prima, all’improvviso appare “Simone figlio di Giora”, un personaggio, il più famoso della guerra attuale, già ucciso, il quale non ha avuto nulla a che vedere con l’autentico “Simone” richiamato alla memoria, protagonista di gesta remote, come stiamo per accertare, totalmente diverse da quelle del “figlio di Giora”…
266 “Quale amicizia, quale parentela non rese questi due più audaci nelle loro stragi quotidiane? Essi consideravano un atto di ignobile cattiveria far male agli estranei, mentre ritenevano di fare una bella figura mostrandosi spietati verso i parenti prossimi”.
A seguito la lettura del paragrafo 264, evidenziamo che Cristo, come questo “Giovanni”, fu descritto dagli evangelisti come un “mangione”, inoltre, “Simone” (in Mt 16,17 è definito in aramaico "Simon Barionà", che significa “Simone latitante”, in quanto considerato fuorilegge), fratello di Giovanni, in base ai vangeli “inaffidabili” elencati nel I studio, era ricercato dai Governatori della Giudea sin dall’epoca di “Gesù”. L’accostamento incruento, in questo paragrafo, senza massacri reciproci, rafforza l’ipotesi che, effettivamente, potrebbe trattarsi di due fratelli del presunto “Cristo”, “Giovanni e Simone”, il secondo qualificato nel vangelo come “barionà” (vedi finale I studio), ora celato nei panni di “Simone figlio di Giora”.
Infatti, la lettura accurata di “La Guerra Giudaica” dimostra che, al contrario di questo lontano ricordo, i Giovanni e Simone nel 70 d.C. non erano parenti e si trucidarono fra loro; pertanto il “figlio di Giora” del memoriale potrebbe essere una “pia” falsificazione fatta dai copisti amanuensi che trascrissero quest’opera nel "Codex Sangallen Gr 627" redatto nel X secolo. I due autentici protagonisti del 70, già eliminati dal Generale Tito in questo momento del racconto, sono assolutamente diversi; sia per la non avvenuta “spietatezza” contro i parenti, sia nelle azioni, riferite in diretta dallo storico, ascritte ai veri “Giovanni di Giscala” e “Simone figlio di Giora”. Costoro, durante il corso della guerra sino alla distruzione di Gerusalemme, sono stati propugnatori di ideologie nemiche, che descriviamo fra poco, totalmente contrapposte. Viceversa, “questi due”, Giovanni e Simone sopra citati, condivisero la stessa dottrina.
Avanti con l’ipotesi e leggiamo …
267 Eppure, la follia omicida di costoro venne superata dal pazzo furore degli Idumei. Infatti questi empi furfanti, dopo aver ammazzato i Sommi Sacerdoti affinché non si conservasse neppure la più piccola particella della pietà verso Dio, sfasciarono tutto ciò che restava degli ordinamenti civili introducendo dappertutto la più completa anarchia. 268 In tale clima prosperarono al massimo gli Zeloti, un’associazione che confermò con i fatti il suo nome; 269 essi infatti imitarono ogni cattiva azione e non tralasciarono di emulare alcun misfatto registrato nella storia”…
Stop. Gli esegeti genuflessi sono in agitazione: Giuseppe Flavio ha osato scrivere “Zeloti”, pertanto infilano note e richiami nei loro testi critici per “spiegarci” la “malevola interpretazione” di questa parola: sanno che tale citazione prova che gli “Zeloti” si definirono con tale nome ed iniziarono ad operare dal 6 d.C. e sanno anche che nei vangeli c’è ancora scritto “Simone lo Zelota” (Lc 6,15; At. 1,13). Ma, appena descritto in questo ricordo che “Simone bar Giora” e “Giovanni” risultano entrambi zeloti, in base alla tesi proposta, diventa logico equiparare alle loro gesta i "canonici": “Giovanni”, qualificato tra i “Boanerghes” (Mc 3,17 - vedi I studio i “figli dell’Ira”) e “Simone zelota” per le gesta estremiste. Ma se i chiesastici sono turbati, beh, allora, vuol dire che la supposizione fatta, a mano a mano procediamo, diventa sempre più concreta.
Infatti, i veri Giovanni di Giscala e Simone figlio di Giora del 66 d.C., possiamo assicurare i lettori, non facevano “stragi quotidiane di parenti prossimi”, al contrario di Giovanni e Simone di “quell’epoca”, citati dallo storico subito dopo loro padre, Giuda il Galileo. Sono tutti ricordati e collegati, ideologicamente (zeloti e sicari, stessi appellativi evangelici), per le imprese descritte e per la parentela che li univa, in un sunto rievocativo che li comprende fra il primo e l’ultimo: Giuda il Galileo ed Eleazar suo discendente finale (al momento ancora vivo arroccato a Masada).
Per quanto concerne l’odio esternato da Giuseppe contro “il pazzo furore degli Idumei”, va precisato che gli abitanti dell’Idumea, regione confinante a sud con la Giudea, furono sottomessi da Giuda il Maccabeo nel II sec. a.C. e convertiti all’ebraismo dal Re Giovanni Ircano I (in carica dal 134 al 104 a.C.): “si sottomisero alla circoncisione e la loro maniera di vivere la fecero, sotto ogni aspetto, conforme a quella dei Giudei. Da allora in poi continuarono ad essere Giudei” (Ant. XIII, 258). Gli Idumei si allearono, contro il dominio di Roma e delle privilegiate caste sacerdotali giudaiche, ai rivoluzionari Giudei già dalla morte di Erode il Grande e, dopo l’annessione (imposta da Cesare Augusto con l’obbligo dei tributi) dell’Idumea, con Giudea e Samaria, alla Provincia di Siria, continuarono a ribellarsi sino a tutta la guerra del 66-70 d.C.
Ma riprendiamo:
270 “Eppure il loro nome (Zeloti) l’avevano derivato dal loro preteso zelo nell’aspirare alla virtù, sia che volessero prendersi gioco, con la loro bestiale natura, delle vittime dei loro soprusi, sia perché stimavano beni i peggiori dei mali. 271 Comunque, fecero (passato remoto) tutti la fine che meritavano, perché Dio diede a ciascuno la giusta punizione; 272 infatti tutti i castighi che mai possono colpire un uomo si abbatterono su di loro anche fino all’ultimo istante di vita, facendoli morire fra i più atroci tormenti d’ogni sorta”.
Stop! Visto che i dotti esegeti, pervasi da profonda fede, si sono zittiti con le note “chiarificatrici”, allora dobbiamo “chiarire” noi: il falso “Simone figlio di Giora”, che i copisti hanno adottato come pretesto per depistarci da Simone Barionà (“Simon Barionà” Mt 16,17 - vedi I studio 4^ parte) “latitante ricercato", è un alibi fasullo, perché quello vero fu decapitato il 71 d.C. senza preliminare supplizio, a Roma, nel Carcere Mamertino (in cui è conservata una lastra di marmo con incisi i nomi dei nemici costretti a sfilare durante il trionfo di Tito ed essere poi giustiziati, fra cui “Simone di Giora”), al termine della sfilata trionfale. “Zac!”… Questa non è la morte descritta da Giuseppe Flavio: “fra i più atroci tormenti di ogni sorta fino all’ultimo istante di vita”, e nemmeno la morte che temevano gli Zeloti.
E soprattutto, il vero “Giovanni di Giscala” non venne ucciso ma … fu imprigionato a vita: altro alibi fasullo (Bellum VI 434). “Di Giscala”, introdotto nelle note “chiarificatrici” dai chiesastici, è servito a creare una controfigura per depistarci da Giovanni, figlio di Giuda il Galileo. Infatti - poiché "La Guerra Giudaica" fu redatta da Giuseppe Flavio, sotto Vespasiano, fra il 75 e il 79 d.C. - mentre lo storico riferiva la testimonianza appena letta, Giovanni di Giscala era sempre vivo in carcere.
Anche se la cronaca non riferisce il patronimico di “Giovanni”, non è difficile capire che l’unico nome da eliminare doveva essere “Giuda il Galileo”, il padre di figli con i nomi corrispondenti a quelli indicati nei vangeli come figli di Maria … anch’essi senza patronimico (vedi I studio). Scoperti ed eliminati i pretesti, falsamente addotti per fuorviarci, risulta che lo storico sta rievocando l’epopea di quella famiglia parente-nemica della sua per più di mezzo secolo; e i primi protagonisti del ricordo sono: Giuda il Galileo e suo figlio Giovanni, crocifisso il 36 d.C. (reo di essersi proclamato "Re dei Giudei", come proviamo nel seguente X studio), al quale i futuri cristiani gesuiti dettero nome “Gesù Cristo”. Poi segue Simone, nei vangeli "detto Kefaz" (“pietra”: vedi tabella apostoli e finale I studio); è importante notare che più avanti, in tale studio, vengono citati anche i codici che indicano Simone assieme a Giovanni, tra i figli di Maria: quindi "Simone detto Kefaz", vale a dire "detto pietra" che gli scribi evangelisti interpretarono forzosamente come “Pietro”, per poi beatificarlo col nome di "san Pietro".
Intanto, a questo punto del memoriale, l'ultimo sopravvissuto della famosa dinastia zelota è Eleazar, figlio di Giairo e nipote di Giuda il Galileo, ancora vivo, arroccato a Masada.
Ora riprendiamo la lettura dal...
273 “Eppure potremmo dire che le loro sofferenze furono inferiori a quelle che essi avevano inflitte a chi era caduto nelle loro mani, perché non esistevano pene adeguate (è un odio di faida). 274 A esprimere degnamente il dovuto compianto per le vittime della loro ferocia non mi sembra questo il momento più adatto, e perciò ritorno al punto in cui avevo interrotto la narrazione. 275 Il comandante romano Flavio Silva mosse alla testa delle truppe contro Eleazar e la sua banda di sicari che occupavano Masada …”
Abbiamo evidenziato, sia la continuità narrativa del ricordo, sia la sequenza degli eventi a partire dal 6 d.C. con i relativi interpreti, sia il falso patronimico (figlio di Giora) introdotto per depistare la ricerca storica. I mistici amanuensi del decimo secolo ebbero la presunzione di “datare” un intero capitolo di 22 paragrafi semplicemente introducendo questo falso patronimico “figlio di (“bar” in aramaico) Giora”, sottovalutando, ingenuamente, le difformità, evidenziate nel racconto, che distinguevano le gesta delle due coppie di protagonisti, separate fra loro di una generazione.
Giuseppe Flavio non aveva alcuno scopo, né avrebbe avuto senso, rifare il sunto dell’intera tragedia bellica che aveva appena descritto dettagliatamente, compresi gli ultimi interpreti, ormai tutti morti … piuttosto, era doveroso rievocare chi generò l’ideologia e le gesta degli iniziali, se pur lontani nel tempo, responsabili dell’olocausto finale.
Nel paragrafo 267 lo storico riferisce un evento storico, estremamente grave ed unico, riguardante l’uccisione contemporanea di Sommi Sacerdoti e della distruzione degli ordinamenti civili (un cambio di potere nel Sinedrio e nel governo giudaico), ma…perché non conclude rammentando la avvenuta, straziante, devastazione di Gerusalemme e del Tempio, come ha già denunciato e descritto più avanti?… No! Non lo può fare perché sta raccontando vicende di un’altra epoca! “quell’epoca”… in cui Gerusalemme e il Tempio rimasero intatti. Un’epoca in cui, tramite l’uccisione di Sommi Sacerdoti (potere religioso) e la distruzione degli ordinamenti civili (potere politico militare), avvenne un vero e proprio rivolgimento al vertice delle istituzioni preposte alla guida della patria Giudea, come vedremo meglio nel prosieguo della nostra analisi. Infatti, Giovanni e Simone del ricordo vengono visti come alleati, coerenti ideologicamente e fautori di di gesta rivoluzionarie contro le istituzioni; mentre Giovanni di Giscala e Simone bar Giora non furono né alleati, né i promotori della guerra del 66, ma subentrarono dopo che altri condottieri sacerdoti si posero a capo della ribellione e del governo rivoluzionario, eliminandosi reciprocamente.
Il "Giovanni" del 66/70 d.C. è un personaggio descritto in maniera completamente diversa:
“Un intrigante di Giscala, di nome Giovanni, figlio di Levi, il più farabutto e il più astuto fra tutti quelli famosi per tali pessime qualità…mentre fingeva mitezza era pronto ad uccidere anche solo per speranza di guadagno…” (Bellum II, 585/587);
“A Giscala le cose stavano così: Giovanni figlio di Levi (questo era il patronimico che, smentendo le tesi clericali, non poteva risultare nel ricordo), vedendo che alcuni cittadini erano esaltati alla idea della ribellione ai Romani, si adoperava per calmarli e pretendeva che si mantenessero fedeli (a Roma). Tuttavia, nonostante il suo impegno appassionato, non vi riuscì” (Bios 43-44).
Diversamente dal “Giovanni” rievocato nel ricordo, Giovanni di Giscala era un capobanda ambizioso e opportunista ma non antiromano e innanzitutto non condivideva gli ideali di quella corrente politica religiosa che propugnava un rivolgimento della società giudaica basato sull’eliminazione della schiavitù per rendere gli uomini liberi e senza padroni, un’ideologia che, dall’epoca del censimento in poi, innescò una guerra civile finalizzata ad eliminare chiunque si fosse opposto alla lotta contro gli invasori (kittim) pagani.
A tale scopo, nel lontano passato, i protagonisti del “ricordo” (ad iniziare da Giuda il Galileo), Giovanni e Simone, condividevano lo stesso ideale, al contrario, i due successivi, del 66-70 d.C., vengono illustrati dallo storico ebreo con due personalità e due dottrine, totalmente diverse fra loro: Giovanni, figlio di Levi, era un’opportunista; mentre, il vero Simone figlio di Giora, al contrario era un’idealista che postulava una rivoluzione sociale ed economica finalizzata all’abolizione della schiavitù, “promettendo libertà agli schiavi e premi ai liberi”. (Bellum IV, 508), uguale a quella di Giuda il Galileo e dei suoi figli.
Giovanni figlio di Levi, inizialmente filo romano, dopo la sconfitta a Bethoron (novembre 66 d.C.) delle legioni romane condotte dal Legato imperiale Cestio Gallo, da voltagabbana (come Giuseppe Flavio) si posizionò in una delle fazioni ribelli… rimanendo, poi, intrappolato dalle armate romane a Giscala, da dove riuscì a fuggire alla volta di Gerusalemme.
A Roma, nel 68 d.C., dopo la morte di Nerone, a causa della lotta per il potere e la conseguente guerra civile, le operazioni militari dei Romani in Palestina furono sospese e Giovanni di Giscala, illudendosi, come tutti i Giudei, che la guerra tra le fazioni politiche dell’Impero portasse alla sua distruzione, puntò alla conquista del potere a Gerusalemme contro Simone figlio di Giora e contro gli Zeloti.
“Durante la festa degli Azzimi (Pasqua), il 14 del mese di Xantico (fine Marzo 70 d.C.), Giovanni di Giscala attaccò gli Zeloti nel Tempio e li sconfisse (Bellum V, 98/105) obbligando una parte di loro a sottomettersi e passare nella sua fazione".
Vespasiano si limitò ad imprigionarlo a vita, senza sottoporlo alla pena capitale, perché si batté contro Simone figlio di Giora. Questi era il vero, pericoloso, capo: un nazionalista religioso proclamato “Salvatore” dal Sinedrio e dal popolo (Bellum IV, 508/575). Fu considerato tale sino alla fine, quando, come un “Messia” sconfitto, venne trovato dai Romani, nascosto nei cunicoli della città, con ancora indosso la “Veste Sacra”. Verrà poi decapitato a Roma, nel 71 d.C. nel carcere Mamertino; invece Giovanni di Giscala: no! Nel capitolo appena letto i falsari religiosi non compresero o sottovalutarono la cronologia degli avvenimenti descritti che iniziavano dal 6 d.C. e continuavano, in successione, da “quell’epoca” in poi.
Invitiamo i lettori a rileggere, dall’inizio, il racconto, un paragrafo dopo l’altro, saltando i commenti e le note, per verificare se si rinviene una sola discontinuità cronologica. L’ennesimo richiamo al censimento di Publio Sulpicio Quirinio, ribadendo “quell’epoca,” si riferisce ad un lasso di tempo collocato fra il 6 e il 36 d.C.: quella fu “l’epoca” in cui i Giudei, per 30 anni, dovettero sottostare all’odioso tributo dovuto direttamente a Roma.
L’esazione avvenne fra i continui moti degli Zeloti che osarono opporsi al pagamento del “tributo a Cesare”, e si protrasse fino al 36 d.C. quando, un altro Governatore di Siria, Lucio Vitellio… “accolto con sommi onori, rilasciò in perpetuo agli abitanti di Gerusalemme tutte le tasse sulla vendita dei prodotti agricoli” (Ant. XVIII, 90).
Come proveremo nel seguente X studio, sarà proprio il Legatus Augusti pro Praetore, Lucio Vitellio, nominato dall’Imperatore Tiberio, Capo di Stato Maggiore di tutto lo scacchiere orientale in guerra contro il Regno dei Parti, a crocifiggere Giovanni il Nazireo a ridosso della Pasqua ebraica del 36 d.C., per aver approfittato del conflitto in atto ed osato conquistare Gerusalemme facendosi incoronare come “Re dei Giudei” a fine estate del 35.
Nel merito puntualizziamo che, nell’XI secolo, i copisti del "Codex Ambrosianus Gr F128" eliminarono dal XVIII libro di "Antichità Giudaiche", che riferiva l'epoca di "Gesù", l'importante richiamo storico, su riferito da Giuseppe Flavio ne “La Guerra Giudaica”, il cui testo fu trascritto un secolo prima dagli scribi nel "Codex Sangallen Gr 627" (X secolo), riguardante il famoso ebreo di nome "Giovanni" (censurato del patronimico) quando, gli aderenti al Movimento di Liberazione Nazionale antiromano ...
"Sfasciarono tutto ciò che restava degli ordinamenti civili introducendo dappertutto la più completa anarchia. In tale clima prosperarono al massimo gli Zeloti, un'associazione che confermò con i fatti il loro nome; essi invero imitarono con i fatti ogni cattiva azione e non tralasciarono di emulare alcun misfatto registrato nella storia" (Bellum VII 267/269).
Infatti nel XVIII libro di "Antichità Giudaiche", durante l’epoca di Cristo (30-36 A.D.), a causa di un ulteriore taglio praticato dagli amanuensi non troviamo "alcun misfatto registrato nella storia" concernente un così grave avvenimento rivoluzionario, quando gli Zeloti "sfasciarono tutti gli ordinamenti civili" (la Costituzione del governatorato romano e del Sinedrio aristocratico fu mutata in monarchia giudaica assoluta: “Cristo Re”).
La Giudea era un paese quasi totalmente ad economia rurale, perciò le tasse sui prodotti agricoli costituivano, di gran lunga, la maggiore entrata per l’erario imperiale pertanto, se Roma vi rinunciò, significa che allora avvenne qualcosa di veramente grave, come accerteremo nel seguente X studio. Ma 30 anni prima:
“Un Galileo di nome Giuda spinse gli abitanti alla ribellione, colmandoli di ingiurie se avessero continuato a pagare il tributo ai Romani e ad avere, oltre Dio, padroni mortali. Questi era un Dottore (della Legge) che fondò una sua setta particolare …” (Bellum II, 118).
Il “tributo dovuto a Cesare” è ripreso nei vangeli in modo superficiale e ridicolo. Chi riportò questo particolare - esistenziale per la popolazione nella realtà giudaica di “quell’epoca” - non voleva fare apparire “Gesù” contro la tassazione di Roma, per non identificarlo con gli Zeloti … fino al punto di fargli pronunciare la famosa frase “date a Cesare quel che è di Cesare”. Se questo fosse accaduto, nella realtà israelita di allora, qualche “sicario” lo avrebbe eliminato, senza dargli il tempo di … “risorgere”. I Giudei odiavano quel tributo, come molti popoli sottomessi, ma con un motivo in più e non secondario: quello religioso. Una tassazione che rappresentava la sottomissione della loro divinità a quella pagana: la terra, promessa da Dio al “popolo eletto”, ma acquisita col sangue degli antichi padri, era, di fatto, una terra occupata, come perduta, da riconquistare; ecco perché lo storico ricorda molte volte il “censimento” e lo fa sempre collegandolo a Giuda il Galileo ed ai suoi figli … sino all’ultimo suo discendente: Eleazar.
Nell’epoca successiva al censimento, le gesta dei fratelli Giovanni e Simone, per le modalità drammatiche narrate, erano ascrivibili solo a loro in quanto derivate da un’ideologia estremista religiosa che considerava nemici anche i parenti che non condividevano quella lotta. Entrambi costoro, come risulta dal “ricordo”, non furono mai in conflitto e soltanto loro potevano essere i veri autori degli avvenimenti narrati. Al contrario, le fazioni di cui erano capi i successivi Giovanni di Giscala e Simone figlio di Giora, durante la guerra giudaica del 66, si massacrarono reciprocamente ma ... non “si mostrarono spietati verso i parenti prossimi”.
Episodi criminosi di questa gravità, contro i propri parenti, a carico dei veri Giovanni di Giscala e Simone figlio di Giora, lo storico li avrebbe certamente raccontati nella cronaca particolareggiata della guerra “in diretta”; né ci ha descritto, scandalizzato (per lui, ebreo, era una idea fissa), che la mensa di Giovanni di Giscala “era imbandita con cibi proibiti ed egli aveva abbandonato le tradizionali regole di purità” (lavarsi le mani prima di toccare cibo) accusa di empietà, invece, fatta al “Giovanni” richiamato nella memoria. I vangeli così attestano:
“Mentre Gesù stava a mensa, in casa sua molti pubblicani e peccatori si misero a mensa con Gesù … allora gli scribi della setta dei Farisei, (lo storico Giuseppe era un fariseo) vedendolo mangiare con i peccatori, dicevano ai suoi discepoli: Come mai egli mangia e beve in compagnia dei peccatori?” (Mc 2,15-16).
Gli Ebrei consideravano peccatore (come oggi) chi mangiava cibi proibiti dalla Legge mosaica.
“E’ venuto il figlio dell’uomo (Luca fa parlare “Gesù”) che mangia e beve e voi dite: ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e peccatori” (Lc 7,34). “Un fariseo lo invitò a pranzo. Egli (Gesù) entrò e si mise a tavola. Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo” (Lc 11,37-38).
Matteo fa dire a Gesù: “Mangiare senza essersi lavate le mani non contamina l’uomo” (Mt 15,20).
La descrizione del “Giovanni”, rievocata dallo storico, corrisponde a quella di “Gesù” anche nelle “impronte digitali” (il “Gesù” dei Vangeli era un Rabbino molto strano: non si lavava le mani prima di mangiare, in compenso lavò i piedi agli apostoli “mentre cenavano”: Gv 13,1). Inoltre, se insistiamo nella tesi che riconosce un rapporto di parentela tra la famiglia sacerdotale, di massimo rango, da cui discendeva Giuseppe Flavio e quella di Giuda il Galileo, entrambe di grande potere, è perché dal racconto risulta evidente che, solo conoscendo a fondo Giovanni, Simone e le “vittime cui va il dovuto compianto per la loro ferocia”, lo storico poteva affermare che erano parenti fra loro. Lo stesso dicasi per gli altri fratelli, discendenti di Giuda, dei quali, come riportato negli altri passi delle sue opere, lo storico ne conosceva oltre ai vincoli, anche i gradi di parentela.
Ancora: riportare, dopo tanto tempo, una notizia su una tavola imbandita, dimostra, innanzitutto, una conoscenza personale di “Giovanni” da parte dei parenti più anziani dello storico (appena prima che lui nascesse) e l’odio, trasmessogli dai suoi familiari, lo spinse a tramandare ai posteri un particolare sui “cibi proibiti” che avrebbe avuto valore solo se riferito ad una persona molto importante e conosciuta nell’ambiente giudaico; altrimenti, a chi avrebbe potuto interessare, fra i posteri, se un ebreo qualsiasi di nome “Giovanni”, una generazione prima della guerra giudaica (circa 30 anni), mangiò cibi proibiti dalla loro religione? Questo passaggio sui “cibi proibiti”, a prima vista insignificante, in realtà diventa un’ulteriore prova che “Giovanni”, essendo stato un ebreo famoso - le cui gesta “criminali” da Zelota meritarono di essere tramandate - a maggior ragione avrebbe dovuto avere un patronimico che lo identificasse, ma, come abbiamo visto, manca il nome del genitore. Fra i molti appellativi di padri, che avremmo potuto leggere, solo uno aveva una valenza dottrinale tale, per il cristianesimo, che non poteva essere citato: Giuda il Galileo, il padre di Giacomo, Giuda, Giuseppe, Simone e…Giovanni.
I copisti evangelici sapevano che i figli di Giuda di Gàmala avevano i nomi dei quattro fratelli del “Gesù” dei Vangeli, più “Giovanni”, ma…con un “Gesù” di troppo, nell’insieme dei cinque fratelli, identificati come “figli di Maria” ai quali, in alcuni Codici giudicati canonicamente “inaffidabili”, risulta aggiunto anche “Giovanni”, il quinto figlio (in merito a questi manoscritti vedi I studio, parte seconda).
Con l’evolversi degli eventi, nel tempo, i traduttori falsari dovettero eliminare, sia nella storia che nei vangeli, le informazioni sui fratelli, figli di Giuda di Gàmala, in quanto sovrapponibili con i fratelli di “Cristo”, ma rimasero con…un uomo inesistente per la Storia: “Gesù”… senza identificazione anagrafica, né sul padre, né sulla data di nascita e di morte, né sulle sue gesta che erano e restano sconosciute a qualsiasi storico di quel periodo. “Gesù” fu, è, e rimarrà solo … un nome, mitizzato e reso famoso grazie ai pulpiti, concessi da TV di Stato e private.
Inoltre, la conoscenza “intima”, accompagnata ad un odio tipo “faida” che obbliga l’ebreo al “dovuto compianto per le vittime della ferocia” degli Zeloti, non è informazione legata a nomi individuabili, ma personale; un semplice sfogo emotivo letterario, tale, da non risultare in nessun documento ufficiale. Questa consapevolezza poteva provenire solo dai suoi familiari, nemici e “parenti prossimi” della dinastia potente, di discendenza asmonea come la sua, ma non rassegnata a sottomettersi ai Romani, bensì a rivendicare, come diritto, “il trono di Davide”.
Il giudizio reiterato “di grande potere”, sui discendenti di questa stirpe di ribelli patrioti che si immolò per rivendicare il trono d’Israele, fu espresso da Giuseppe, anch’egli appartenente ad una dinastia di discendenza asmonea tramite madre; tuttavia gli integralisti nazionalisti - favoriti dalla militanza dei giovani ebrei, aderenti in massa alla causa dello zelotismo antiromano (vedi sopra: cit. Ant. XVIII 10/24) - si dimostrarono molto “più potenti” … ma furono eliminati grazie alla super potenza di Roma. “Giovanni”, abbiamo visto, non è distinto dal casato né da una provenienza: i copisti eliminarono questi dati pensando di farla franca. Gli esegeti mistici moderni, con opportuno calcolo, hanno introdotto “di Giscala” nelle note per…aiutarci a “capire”. Ma sappiamo, ormai con certezza, che gli ideatori dello zelotismo antiromano furono gli appartenenti alla famiglia di Giuda il Galileo, di cui lo storico fa i nomi dei primi responsabili, e li descrive come se fossero figure di spicco fra i Giudei di allora: Giovanni e Simone.
Il nome “Giovanni”, unito a qualsiasi patronimico, gli amanuensi lo avrebbero lasciato…tranne per Giuda il Galileo: fu suo figlio che “morì fra i più atroci tormenti fino all’ultimo istante di vita”; non finì prigioniero a vita come Giovanni di Giscala figlio di Levi. (Bellum VI, 434). Lo stesso dicasi per l’appellativo “il Nazireo”, o la città di provenienza “Gàmala”: nessuna di queste nozioni doveva risultare perché ne avrebbe permesso il riconoscimento. Un “Gesù Salvatore” rivoluzionario, un Rabbino fariseo zelota, un capo guerrigliero antiromano la cui religione gli imponeva di usare la forza per liberare la terra di Israele dal dominio pagano! No! La nuova dottrina gesuita non poteva ammettere questa realtà, perciò tutti gli appellativi che avrebbero permesso l’identificazione rivoluzionaria del “Messia universale” dovevano essere eliminati!
Ancora un aspetto da sottolineare nei par. 271 e 272, ove leggiamo: “fecero tutti la fine che meritavano; infatti tutti i castighi che mai possano colpire un uomo si abbatterono su di loro, anche fino all’ultimo istante di vita, facendoli morire fra i più atroci tormenti d’ogni sorta”.
In questo brano, lo storico, oltre a Giovanni e Simone, si riferisce, ovviamente, anche a Giuda il Galileo, ma non a Eleazar. Infatti l’ultimo discendente, nel momento in cui lo scrittore rievoca le gesta di Giuda e dei suoi figli, è sempre vivo, arroccato a Masàda. Questo particolare è molto importante perché, nelle sue opere (censurate) non risulta che Giuseppe Flavio abbia riportato la morte del padre dei “fratelli Galilei”.
Nel VII studio, al capitolo riguardante la stirpe degli Asmonei, abbiamo individuato che Giuda fu crocifisso dai Romani nel 17 d.C., sotto il governo di Valerio Grato, quindi, prima dei suoi figli, subì il supplizio “morendo fra i più atroci tormenti d’ogni sorta, fino all’ultimo istante di vita”. La sua cattura poté avvenire solo a seguito di uno scontro militare, non a Gàmala: la città di Giuda il Galileo era imprendibile dagli eserciti dei Tetrarchi, Re, Prefetti o Procuratori imperiali. Solo un poderoso esercito, agli ordini di un Legatus Augusti pro Praetore, era in grado di abbattere le mura di Gàmala: roccaforte inespugnabile degli Asmonei.
Riguardo le similitudini di “Simone” del memoriale (fatto apparire dagli amanuensi come “figlio di Giora”) con “Simone detto Kefaz”, ovvero “san Pietro” (vedi I studio), rileggiamo il giudizio lapidario rilasciato dallo storico israelita Giuseppe:
265 “D’altra parte, poi, Simone figlio di Giora quale delitto non commise? Quale sopruso risparmiò a coloro che come liberi cittadini lo avevano eletto a loro capo?.
Accusa che calza come un guanto con le imprese di cui risulta autore “san Pietro”, altrimenti citato nei vangeli come “Simone detto Kefaz” (vedi le prove a fine I studio) riferite in “Atti degli Apostoli”; illuminante esempio della misericordia attuata da Simone Pietro, successore di Cristo, Principe degli Apostoli e detentore delle chiavi del Paradiso ... gesta che nessun prete osa citare come “parabola” domenicale:
“Un uomo di nome Ananìa con la moglie Saffira vendette un suo podere e, tenuta per se una parte dell’importo, d’accordo con la moglie, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. Ma Pietro gli disse:“«Ananìa, perché mai Satana si è così impossessato del tuo cuore che hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e, anche venduto, non era sempre a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a questa azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio ». All’udire queste parole, Ananìa cadde a terra e spirò. E un timore grande prese tutti quelli che ascoltavano. Si alzarono allora i più giovani e, avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo seppellirono. Avvenne poi che, circa tre ore più tardi, entrò sua moglie Saffira, ignara dell’accaduto. Pietro le chiese: «Dimmi: avete venduto il campo a tal prezzo?». Ed essa: «Si, a tanto ». Allora Pietro le disse: «Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore? Ecco qui alla porta i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito e porteranno via anche te». D’improvviso Saffira cadde ai piedi di Pietro e spirò. Quando i giovani entrarono, la trovarono morta e, portatala fuori, la seppellirono accanto a suo marito. E un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa e in quanti venivano a sapere queste cose”. (op. cit. 5,1/11)
E’ lo stesso modus operandi del Simone denunciato sopra da Giuseppe Flavio. Pertanto, nella consapevolezza che "Simone detto Kefaz" ci consente di identificare in "san Simone Pietro" - altrimenti detto nei vangeli "Simone Zelota Barionà" (aramaico = latitante) - il capo zelota ricercato dai Romani, abbiamo le prove che gli Zeloti erano Farisei rivoluzionari fuori legge, di conseguenza i sacerdoti appartenenti al Movimento di Liberazione Nazionale non avevano la possibilità di riscuotere le decime dei raccolti (Ant. XX 181) spettanti per diritto soltanto ai sacerdoti Sadducei e Farisei conservatori, in quanto filoromani. Per risolvere il problema e poter condurre la dispendiosa lotta armata contro Roma, i sacerdoti Zeloti, per finanziarsi, decisero di imporre tributi agli Ebrei possidenti adottando metodi persuasivi violenti.
Oltre alle imprese evangeliche relative ai “Boanerghes”, i Figli dell’Ira di Dio (vedi I studio), questa testimonianza rappresenta il capo di imputazione che consentì al Procuratore Tiberio Alessandro di processare pubblicamente a Gerusalemme, durante il suo mandato (dal 46 al 48 d.C.), Simone e Giacomo, due figli di Giuda il Galileo, condannandoli alla crocifissione (Ant. XX 102).
Lo storico ebreo Giuseppe, nobile conservatore e rampollo della più elevata aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme, discendente dagli Asmonei per parte di madre, nacque nel 37 d.C., qualche anno dopo, secondo i vangeli, che un "Re dei Giudei" fu crocifisso dai Romani in ottemperanza ad una delibera del Sinedrio, incredibilmente avallata dal popolo stesso che lo aveva osannato ... Una farsa di "processo" montato in funzione di una dottrina ma in contrasto alla legge di Roma, essenziale a conservare il proprio dominio imposto da capaci condottieri di eserciti. Nella realtà non sarebbe mai avvenuto che il distaccamento militare romano, di stanza nella Fortezza Antonia, anziché al Tribuno imperiale di Gerusalemme, si sottoponesse agli ordini di "Giuda il traditore" per arrestare "Gesù" (Gv. 18,3), il proclamato "Re dei Giudei", mentre la Giudea era governata dal Prefetto Ponzio Pilato per volontà dell'Imperatore Tiberio.
Il vero Diritto Romano, coerente al potere imperiale, l'unico ad aver autorità, imponeva direttamente al "Legatus Augusti pro praetore", Governatore provinciale, di eliminare chiunque si fosse insediato autonomamente sul trono in un territorio sotto dominio di Roma.
Nella realtà, i genitori dello storico fariseo, Giuseppe bar Mattia, residenti in Gerusalemme, il 36 d.C. presenziarono all'esecuzione di "Giovanni" decretata dal Legato imperiale di Siria, Lucio Vitellio, dopo che l'anno prima, il 35 d.C., il capo degli Zeloti aveva organizzato una rivolta durante la quale vennero uccisi Sommi Sacerdoti del Tempio e "sfasciarono tutto ciò che restava degli ordinamenti civili" (Bellum VII 267). Il solo "ordinamento civile" nella Giudea di "quell'epoca", era costituito dal governo prefettizio di Ponzio Pilato, stanziato a Cesarea Marittima, la capitale imperiale di quella Provincia, mentre in Gerusalemme la massima autorità romana era rappresentata dal Tribuno militare di rango eguestre, che, a capo di una coorte di 500 uomini ed una o più ali di cavalleria, dimorava nella Fortezza Antonia.
Come anticipato, saremo in grado di provare questa vicenda nel seguente X studio; intanto procediamo nella ricerca per connotare meglio, caratterialmente e ideologicamente, il rivoluzionario "Giovanni il Nazireo", figlio primogenito di Giuda il Galileo.
Verificato, tramite l'analisi del precedente VII studio, che la città di “Gesù”, descritta nei Vangeli, non corrisponde alla “Nazaret” odierna bensì a Gàmala, la città di Giuda il Galileo e dei suoi figli, i quali avevano gli stessi nomi dei fratelli di “Gesù Cristo, nostro Signore”… se ne deduce che “Nazaret” servì a giustificare il titolo di “Nazareno”, modifica letteraria di “Nazireo”, ossia il consacrato a Dio tramite il voto “Nazir”: una promessa che obbligava gli adepti a non bere vino e non tagliarsi barba e capelli.