Yeshùa Giovanni e gli Zeloti di Gàmala redenti dal Cristianesimo dei Gentili



Tramite gli studi condotti sinora, abbiamo provato che gli “Apostoli”, uno dopo l’altro, vengono eliminati dalla verifica critica storiologica. Le stesse analisi ci hanno consentito di scoprire brani spuri e simulazioni apportate dagli scribi cristiani, durante la secolare evoluzione della dottrina, sia nei sacri testi che in quelli storici.
Manomissioni, ancora in atto, intese ad impedire il riconoscimento dei veri protagonisti, capi del movimento zelota di liberazione nazionale giudeo, celati dietro la straordinaria veste “apostolica” che li raffigurò miti come agnelli, predicatori di pace e giustizia in terra, e la promessa della vita eterna nell'aldilà.

Dovevano sparire i cruenti rivoluzionari della quarta filosofia zelota, una novità sinora sconosciuta” (così la definì Giuseppe Flavio), fondata da Giuda il Galileo il 6 d.C. Una dottrina che postulava il capovolgimento della società ebraica tramite l’eliminazione della schiavitù, della nobiltà sacerdotale corrotta e dei privilegiati filo romani. Un nuovo sistema economico che avrebbe redistribuito le ricchezze con maggior egualitarismo a beneficio delle classi più diseredate: "gli ebioniti", dall'aramaico "ebionim"
אביונים, i poveri.
La "quarta filosofia giudaica" annoverava capi farisei Zeloti, "Dottori della Legge di grande potere, fanatici nazionalisti” votati al martirio.
Lo storico ebreo Giuseppe, un nobile fariseo conservatore appartenente ad una ricca casta sacerdotale opportunista, li descrisse esprimendo odio nei loro confronti in "Antichità Giudaiche" e "La Guerra Giudaica":

"Lo zelo che Giuda
(il Galileo) e Saddoc (il Fariseo) ispirarono nella gioventù fu l'elemento della rovina della nostra causa. Il popolo ha visto la tenacia della loro risoluzione e l'indifferenza con la quale accettano la lacerante sofferenza delle pene"
(Ant. XVIII 10-24). "Individui falsi e bugiardi, fingendo di essere ispirati da Dio (Profeti), macchinando disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo al fanatismo religioso" ... "Ciarlatani (Predicatori) e briganti istigavano molti a ribellarsi e li incitavano alla libertà minacciando di morte chi si sottometteva al dominio dei Romani
(Bell II 259-264). Zeloti, tale, infatti, era il nome che quelli si erano dati, quasi fossero zelatori di opere buone" (Bell IV 161).
 
Intrapresero una lotta, ìmpari, per “salvare” la loro terra dal dominio pagano romano e ricostituire su di essa, grazie all’avvento di un Messia prescelto da Yahwè, un nuovo regno giudeo destinato a durare in eterno … che, dopo la riforma “universale” cattolica, verrà chiamato “Regno dei Cieli”.
Ma le motivazioni degli Ebrei erano molto diverse. La tradizione veterotestamentaria imponeva loro scelte radicali, senza compromessi, contrapposte all'aristocrazia sacerdotale moderata, ai ricchi commercianti ed ai proprietari latifondisti.
La certezza che Dio avrebbe aiutato gli Israeliti a scacciare i pagani invasori era scritta nella Legge: i "kittim", sarebbero stati sconfitti e umiliati dal Messia divino. Un Re nazionalista trionfante grazie all'intervento delle schiere celesti inviate da Yahweh in soccorso del "popolo eletto".

Giuda il Galileo, ideatore della "quarta filosofia", alla morte di Erode il Grande attaccò il palazzo reale di Sefforis, capitale della Galilea, costrinse alla fuga Erode Antipa, il figlio successore di Erode il Grande, e si insediò sul trono dei Giudei. 
L'intervento delle legioni romane del Legato di Siria, figlio di P. Quintilio Varo, ripristinò l'ordinamento augusteo nella Galilea dopo aver distrutto Sefforis e crocifisso, pubblicamente, duemila ebrei. 
Discendenti da una stirpe di sangue reale, gli Asmonei, sopravvissuta alla sistematica eliminazione dello spietato Erode il Grande, protetti dalle mura della imprendibile città roccaforte, Gàmala, cinque fratelli lottarono contro i suoi eredi non riconoscendo ad essi il diritto, delegato da Roma, di regnare e governare sui Giudei. Era un
 diritto messianico che apparteneva a loro e lo rivendicarono con le armi ad iniziare da Ezechia, loro nonno e padre di Giuda il Galileo, che fu ucciso da Erode una volta insediatosi come Re dei Giudei nel 37 a.C. (vedi VII studio il capitolo "Gàmala, patria dei discendenti Asmonei").

La tensione sociale, ad alto rischio per lo spargimento di sangue che comportava l'integralismo nazionalista, fatalmente si compenetrava nei nuclei familiari provocando polemiche e discordie, spesso con gravi rotture fra i giovani irruenti e gli anziani. Lo stato di guerra civile, iniziato sin dall'epoca del censimento di Quirinio, il 6 d.C., si protrarrà in forma endemica, ininterrottamente, fino alla guerra aperta contro Roma nel 66 d.C., con una pausa durante il regno di Erode Agrippa il Grande, dal 41 al 44 d.C.
La denuncia della conflittualità zelota nell'ambito della società teocratica dei Giudei di quel torno di tempo, con inevitabile ricaduta all'interno delle famiglie, coinvolse anche il "Messia" prescelto da Dio alla guida del popolo d'Israele e "trasuda" dalle testimonianze evangeliche per bocca dello stesso "Gesù":

"Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso! Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre: padre contro figlio e figlio contro padre" (Lc 12,49-52).

"Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo" (Lc 14,26).

Nota: nel 2008, sotto il papato di Benedetto XVI, la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) - consapevole che i vangeli furono scritti da uomini, e non "dettati" o "ispirati" da Dio, come postulato nel Concilio di Trento e nel Concilio Vaticano II - senza valutare che migliaia di codici neotestamentari, da oltre 1600 anni riferiscono sempre la stessa frase che rivela l'ideologia zelota di Cristo, ristampa la Bibbia invertendo il significato del testo originale appena letto e fanno testimoniare Luca così:
 
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26).

Ora riprendiamo l'analisi del contesto storico.
 
I nomi dei cinque fratelli, dettati dalla tradizione di rigida osservanza giudaica, sono tuttora presenti nei Vangeli e corrispondono ai fratelli di “Gesù”: Giovanni, Giuda, Simone, Giacomo e Giuseppe; gli stessi che vengono attribuiti anche ai figli delle varie “Marie”, mogli di Alfeo, Clopa, Zebedeo e Cleofa. Tutte queste "mogli" sono sorelle o parenti fra loro, ma hanno lo stesso nome di Mariala madre di Gesù, e risultano tutte madri di figli con gli stessi nomi dei fratelli di Cristo.
La presenza di tante "Marie" nei documenti neotestamentari non è veritiera (addirittura sei) al punto che, almeno una, risulta essere sorella della madre del "Redentore
Figlio di Dio":
 
"Stavano presso la croce di Gesù sua madre (Maria), la sorella di sua madre, Maria di Cleofa ..."
(Gv 19,25).
 
Come avrebbero potuto dei genitori chiamare i propri figli con nomi uguali? Nel merito, la Chiesa, sin dall'antichità, una volta inteso le contraddizioni contenute nelle "rivelazioni" evangeliche, decise di "comprimere" le sei Marie in "tre Marie" con analisi dimostratesi scorretteUna di esse, fatta passare come moglie di Alfeo, padre dell'apostolo Levi, cioé "Matteo il Pubblicano", si dimostra un falso conclamato una volta accertato (cfr studi I, VIII e quello su "La Natività") che questo "Matteo" non é mai esistito:

" ... Egli (Gesù), nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Mentre Gesù stava a mensa in casa di lui (Matteo il pubblicano), molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme con Gesù " (Mc 2,13-14).

Questo episodio si svolge a Cafàrnao, in Galilea, all'epoca sotto l'amministrazione del Tetrarca Erode Antipa; un dato di fatto che dimostra impossibile l'evento evangelico perché i "Pubblicani" erano gli appaltatori delle imposte devolute direttamente al tesoro di Roma da parte delle Province sottomesse all'Impero. Nel caso dei territori, Galilea e Perea, già assegnati come "Protettorato" da Cesare Augusto al Tetrarca Antipa, questi era vincolato a versare
all'Imperatore Tiberio un tributo annuo fisso che ammontava a duecento talenti d'oro (Ant. Giu. XVII 318), mentre l'apparato amministrativo delle riscossioni risiedeva nella capitale della Galilea a Tiberiade, non nello spopolato "Cafàrnao" (vedi VIII studio).   

E' ovvio che, come provato nel primo e ottavo studio, così come in quello su "La Natività", l'insussistenza di Levi Matteo sconfessa inequivocabilmente l'esistenza di suo padre, Alfeo, e quella di sua moglie, Maria, con la quale avrebbe dovuto concepire il futuro apostolo, "esattore delle tasse" per conto di Cesare. 
Di queste sei "Marie" solo una non aveva figli: Maria di Màgdala, sconosciuta da Eusebio di Cesarea perché inventata dopo la sua morte (340 d.C.). Cosa abbia rappresentato per il "Gesù storico" del nostro studio, questa niente affatto credibile "Maria", non riteniamo sia stato significativo nella realtà politica dell'epoca; molto pericolosa per il popolo d'Israele che non intendeva sottomettersi al dominio di Roma.
Altre quattro "Marie" furono clonate da una sola e "divise", maldestramente, per separare l'insieme dei fratelli, tutti con nomi uguali ai figli dell'unica vera Maria, madre di "Gesù" (Mt 13,55 e Mc 6,3). Lo scopo fu di impedire ad eventuali ricercatori di rintracciare nella storia i veri protagonisti delle vicende narrate nei vangeli identificandoli negli ultimi eredi dell'unica dinastia di sangue asmoneo che, nel corso di tre generazioni, si era distinta per aver guidato gli Ebrei nella lotta di liberazione contro i "kittim" romani. Esattamente quello che stiamo per fare noi, avvalendoci di una ricerca storica specifica, la quale, fra poco, ci permetterà di scoprire le gesta degli autentici personaggi, successivamente ribattezzati dal Clero, "Giovanni apostolo" e "Simone Pietro" (san Pietro).  
 

La vera Maria, madre di cinque figli maschi e due o più femmine, era una nobile discendente degli Asmonei, moglie di Giuda il Galileo, "Dottore della Legge di grande potere", padre, a sua volta, di Giovanni, il primogenito. Dunque una stirpe di sangue reale avente diritto al trono dei Giudei, usurpato dagli erodiani, semigiudei di estrazione araba, insediati dagli imperatori di Roma.
I cinque fratelli appartenevano ad una società teocratica, propugnavano la lotta armata basata su principi religiosi e politici contenuti nella sacra Legge ancestrale, per cui l'unica regalità ammessa era quella voluta da Dio: una regalità messianica. Erano Zeloti e depositari dell'integralismo nazionalista più estremista fra le quattro correnti religiose ebraiche dell'epoca costituite da Zeloti, Farisei, Esseni e Sadducei. Nel 6 d.C...

"Giuda il Galileo si pose come guida di una quarta filosofia, una novità finora sconosciuta, che concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto nel fatto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libertà (gli Zeloti erano Farisei rivoluzionari irredentisti contro la schiavitù) convinti come sono che solo Dio è loro guida e Padrone; ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni ..." (Ant. XVIII 1,23).
   
La maggioranza del popolo giudaico, soprattutto i giovani, era spinto da un impellente bisogno di riscatto nazionalistico morale e di giustizia sociale, pertanto condivideva i principi degli Zeloti e del suo capo Giuda. Una generazione dopo, suo figlio, Giovanni, riuscirà a conquistare Gerusalemme, nel 35 d.C., dopo aver liberato la Città Santa dall'occupazione pagana, ottenendo il riconoscimento del popolo come "Salvatore" (Yeshùa) e Re dei Giudei ... fino a quando venne detronizzato e crocifisso dai Romani nel 36 d.C. Ma per gli Ebrei il vero Messia divino non poteva essere sconfitto dai pagani invasori, pertanto Giovanni fu rinnegato da quel popolo e dimenticato. 
Nel periodo storico successivo alla distruzione di Gerusalemme e del Tempio, perpetrata da Tito nel 70 d.C., e in conseguenza del massacro etnico di Ebrei avvenuto per la devastante guerra del 132/135 d.C., sotto il principato di Adriano, si aprì una crisi di identità religiosa che coinvolse l'intera ecumene giudaica.
 
Sino al momento dell'olocausto, gli Esseni "Figli della Luce" furono i più attivi tra i Profeti che avevano annunziato l'Avvento del Messia d'Israele, il quale, riuniti tutti gli Ebrei in una rinnovata Alleanza santificata da Dio, avrebbe fatto strage di kittim pagani "Figli delle Tenebre"

"Ascolta, Israele! Voi state per combattere contro i vostri nemici ... Non spaventatevi e non allarmatevi innanzi a loro. Poiché il vostro Dio cammina con voi per combattere i vostri nemici e per salvarvi ... Allorché nel vostro Paese verrà una guerra contro un oppressore che vi opprime, e suonerete le trombe e il vostro Dio si ricorderà di voi e sarete salvi dai vostri nemici."  (dal Rotolo della Guerra "1QM" di Qumran).

E, fra il popolo credente, nel corso di due generazioni, molti seguaci irredentisti andarono a farsi ammazzare: fu una carneficina.
Dopo l'eccezionale catastrofe finale, una corrente riformista ebraica della diaspora, guidata da sacerdoti Esseni residenti in Egitto, ispirandosi all'astratto "Logos" del filosofo semita Filone d'Alessandria, concepì una nuova figura di "Salvatore Messia" in alternativa al "Dominatore del Mondo" riferito da Giuseppe Flavio (Bellum VI 310-315). Un Messia divino, non più il bellicoso condottiero del popolo d'Israele che avrebbe sconfitto gli invasori pagani, bensì docile come un agnello "Salvatore del Mondo", quindi accettabile dal potere imperiale romano, e meno pericoloso per le famiglie della diaspora. Pur sempre un Messia ancora osservante della Legge ancestrale profetata da Isaia:
 
 
"Egli (il Messia), dopo essere passato fra gli uomini in maniera così umile e modesta nelle parvenze da non esssere rimarcato da alcuno, seguirà i suoi carnefici silenzioso e docile come un agnello condotto al mattatoio" (Isaia 53,1);
"Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!" (Gv 1,29).  
 
Gli Esseni, anziché ammettere il fallimento del proprio vaticinio sull'intervento del "Salvatore" davidico, addebitarono la colpa delle sciagure e dei lutti subiti dai Giudei al mancato riconoscimento, da parte loro, dell'Avvento: il Messia, atteso con anelante fede dagli Ebrei durante il primo secolo; l'Unto, prescelto da Yahwè, che li avrebbe guidati contro i pagani invasori della Terra Promessa, era già venuto, ma non fu identificato come tale dal Suo popolo.
Nella storia giudaica dell'epoca, che vide come protagonista reale il nobile Giovanni e la straziante fine subita, questo era l'unico episodio adatto cui richiamarsi per essere mitizzato come "Agnus Dei" e "Salvatore del Mondo" anziché "Dominatore del Mondo".  
Un "Salvatore" che i monaci esseni, in virtù della loro "Gnosi" (conoscenza di Dio), iniziarono a rappresentare nelle proprie scritture, predicandolo come il Demiurgo Terapeuta, Figlio di Dio, dotato di poteri straordinari. 
Lo avevano già profetato nel "frammento 4Q246" di Qumran, che evidenzia il pathos nazionalista zelota, conforme all'ètica di una società teocratica come quella giudaica, in linea con la figura regale messianica:
 
"Egli sarà chiamato il Figlio di Dio: essi lo chiameranno il Figlio dell'Altissimo. Il Suo regno sarà un dominio eterno ... il popolo di Dio si leverà e fermerà tutti con la spada". 
 
Un Messia le cui tracce permangono tutt'oggi nei vangeli. Così Luca:
 
"Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di suo padre Davide ... perciò quello che nascerà sarà chiamato santo Figlio di Dio(Lc 1,32-35).

Così Matteo:
"Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma una spada" (Mt 10,34).
   
Fra i protagonisti dei vangeli "cristianizzati", Giovanni risulta il meno appariscente benché molto rimaneggiato nel personaggio (vedi il vangelo di Giovanni), a differenza dei primi vangeli originali esseni, poi eliminati. Nella tradizione "canonica", Giovanni venne fatto interpretare da un indefinibile senza nome il discepolo che Gesù amava e chiamato come testimone oculare della vita di Cristo narrata nel proprio vangelo; infine, scelto come depositario della Sua “Rivelazione” (Apocalisse) e del Suo ritorno (Parusia), non più come “Salvatore” ma nelle vesti di un terrificante “Giustiziere” che avrebbe provocato la fine del mondo tramite una catastrofe cosmica dando inizio al "Regno di Dio".

In realtà questo “discepolo” senza nome, come abbiamo visto con il precedente V studio, non è esistito, quindi non ha scritto alcun vangelo, né l'Apocalisse, tantomeno “lettere”. Pochi sanno che sono due i vangeli accreditati a “Giovanni”: uno di “Giovanni" e l'altro di “Giovanni detto anche Marco”.

Per distinguerli e giustificarne le differenze, incompatibili come testimonianza univoca per l'enorme differenza sui fatti narrati (basta ricontrollare la “Tabella degli Apostoli e le loro qualifiche” nel I argomento), a un “Giovanni” venne aggiunto “detto anche Marco” in “Atti degli Apostoli” (12,12) dove, “il discepolo prediletto” spunta fuori, all'improvviso, poco prima il decesso di Erode Agrippa I, avvenuto nel 44 d.C., e risulta “figlio di Mariaresidente "in casa della madre” a Gerusalemme, non in quella di Zebedeo, suo padre, secondo i vangeli sinottici.
Viceversa, in nessun vangelo si fa menzione di un apostolo col nome di “Giovanni detto anche Marco” pur essendo stato ufficializzato dalla "tradizione", ad iniziare da Eusebio di Cesarea che lo chiamò, elusivamente, col semplice nome di "Marco".

Nel vangelo di “Giovanni detto anche Marco” abbiamo conosciuto un “Giovanni” figlio di Zebedeo, integralista zelota come suo fratello Giacomo, qualificati entrambi come “boanerghés” *, figli dell'ira di Yahwé avverso la dominazione romana della Terra d'Israele. Quindi un ribelle adulto, fanatico nazionalista, schierato contro il potere costituito, che non avrebbe mai accettato, ideologicamente, di darsi un secondo appellativo “trasteverino”: Marco.
Dal vangelo di Luca (Lc 9,53) Giovanni risulta uno zelota pronto ad incendiare villaggi dei Samaritani, nemici dei Giudei, assieme all'altro suo fratello: Giacomo (il Maggiore).
* Vedi spiegazione del termine "boanerghés" nel I argomento.

Un divieto sull'uso del nome gentilizio, ancor più tassativo, era imposto dalla Legge romana, l'unica che veramente contava nell'Impero, trascurata con sciocca dabbenaggine dai redattori di “Atti degli Apostoli”; un errore simile a quello commesso sulla “cittadinanza” da san Paolo (vedi II studio), a dimostrazione che questo documento, considerato sacro dai credenti, fu composto successivamente il 212 d.C.
Per quella data l'Imperatore Marcus Aurelius Caracalla decretò di estendere la cittadinanza romana a tutti i liberi abitanti dell'Impero al fine di equipararne i privilegi, ma con il risultato di abolire i rispettivi "Diplomi di Cittadinanza Romana", ormai inutili.

Prima di allora, già in epoca repubblicana, solo agli stranieri cui veniva conferita la cittadinanza romana, era concesso il diritto di attribuirsi nomi romani ed il divieto per chi non lo era. Fu uno dei princìpi cui, dopo Giulio Cesare, anche Cesare Augusto, come riferito da Svetonio (Cal. 38), conferì un valore particolare ordinando tre censimenti cognitivi al fine di accertare, fra gli abitanti dell'Impero, quelli che possedevano la cittadinanza romana. Un titolo registrato negli Atti del Senato comprovato dal rilascio di un Diploma inciso nel bronzo, analogo a quello militare, contenente un attestato di benemerenza, sigillato e rilasciato dai Cesari, da esibirsi su richiesta di qualsiasi funzionario imperiale.
Così Svetonio (Claudio 25):


Le persone di nazionalità straniera furono diffidate dal prendere nomi romani, tanto meno nomi gentilizi. Quanto a coloro che usurpavano il diritto di cittadinanza romana,(Claudio) li fece decapitare nel campo Esquilino”.

Tranne Giulio Cesare e Cocceio Nerva (quest'ultimo, anziano, in carica per meno di due anni), tutti gli Imperatori e i condottieri romani perseguitarono i Giudei. A Gerusalemme, il Tribuno militare, di rango equestre con tanto di laticlavio, funzionario imperiale durante il principato di Claudio, essendo obbligato a far rispettare la Legge di Roma, avrebbe fatto passare guai seri ad un ebreo che si fosse dato un nome romano, gentilizio per eccellenza come "Marcus", senza possedere il diploma di cittadinanza.

Ne consegue che "Marco" è uno pseudonimo scelto dagli scribi cristiani, in epoca successiva all'editto di Caracalla, inconsapevoli di una vecchia legge imperiale ormai desueta, peraltro ignari della severità dei costumi giudaici che, fatta eccezione per i regnanti, proibivano l'adozione di nomi pagani.
Nella realtà dell'Impero Romano del I secolo, il nome gentilizio "Marco", affibbiato ad un suddito giudeo privo di cittadinanza romana, violava leggi ed usanze di entrambi i Paesi. 

Al contrario, il Giovanni”, descritto dallatradizione giovannea”, non è un adulto combattente ribelle integralista, tanto meno "detto anche Marco", ma viene fatto interpretare da un innominato sconosciuto ragazzo giovanissimo
“il discepolo che Gesù amava” materializzato all'improvviso nell'ultima cena durante la quale, secondo i vangeli, venne celebrato il primo rito del sacrificio teofagico eucaristico cristiano. Tranne per il riferimento al Battista, il nome “Giovanni” è sconosciuto dallo stesso evangelista e non appare mai nel “proprio” vangelo; neanche quando Gesù “chiama” i discepoli al Suo seguito nella missione affidatagli dal Padreterno. Sappiamo dell'esistenza de “i figli di Zebedeo” (Gv 21,2), dopo la morte e resurrezione di Cristo, nel 21° capitolo, l'ultimo. Dagli esami condotti da vari studiosi, risulta essere stato aggiunto in epoca posteriore allo scopo di ridurre i contrasti con gli altri vangeli sul numero e sul nome degli apostoli (cfr tabella nel I studio e relativa nota).

Il “Giovanni” del quarto vangelo è stato dipinto come un adolescente legato al Salvatore da un rapporto fisico affettivo molto forte, come di parentela, al punto che, nell'ultima cena, giunge a “reclinarsi sul petto di Gesù” (Gv 13,25).

Questo aspetto del discepolo prediletto, abbandonato languidamente sul corpo di Cristo, è ignorato dagli altri evangelisti. Altresì, perché un Dio avrebbe creato un giovanissimo discepolo-apostolo da prediligere rispetto agli altri?
La risposta la troviamo nel passaggio escatologico finale descritto nello stesso vangelo, all'atto della crocifissione, in cui si rappresenta una scena con “tre Marie” aggrappate ai piedi della croce assieme ad un ragazzo.
Impossibile nella realtà perché la Legge di Roma impediva a chiunque avvicinarsi ad un pubblico supplizio interponendo un cordone di miliziani armati: ad iniziare da parenti, amici, e discepoli ... nessuno, Apostoli compresi, poteva stanziare presso la croce.
 
Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che Egli amava (Giovanni), disse alla madre: «donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo:«Ecco tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa(Gv 19,26/7).

Ma in casa di chi? Del padre Zebedeo secondo i vangeli sinottici? Certamente no, poiché il "discepolo che Gesù amava" risulta figlio di Maria, come affermato da Cristo, quindi il padre, secondo la "Natività" di Luca e Matteo, doveva essere san Giuseppe marito di Maria, non Zebedeo.  
Infatti, in “Atti degli Apostoli” abbiamo già visto che “Giovanni detto anche Marco”, viveva a Gerusalemme in casa di Maria, sua madre.
Però come si può credere che un ragazzo abbia potuto prendersi cura di una donna anziana?

Siamo di fronte ad una sceneggiatura giovannea, totalmente diversa da quella degli altri evangelisti, allestita per “rappresentare” il sacrificio umano della nuova “Entità” trascendentale che avrebbe “salvato” l'umanità dalle pene dell'inferno. Al momento della trascrizione da un manoscritto originale, lo scriba cristiano non dette eccessivo peso ai "dettagli" di questo vangelo, residui "stratificati" di una forma di messianismo primitivo, che avrebbero creato gravi problemi aperti tutt'oggi.

L'amanuense, inannzitutto, evitò scrupolosamente di trascrivere il nome "Giovanni" con cui veniva chiamato il Messia nel vangelo originale esseno, dal titolo "Vangelo di Giovanni", perché narrava le gesta del protagonista divino ebreo, quindi ne giustificò il titolo facendolo apparire scritto da "Giovanni". Ma il copista, cancellando questo nome, inevitabilmente, eliminò un protagonista col risultato che l'evangelista "Giovanni" non conosce se stesso. Infine, per render impossibile l'identificazione di "Giovanni" nel Messia crocifisso, colloca sotto la croce un suo fratello minore con lo stesso nome: "Giovanni", dopodiché gli affida l'onere di provvedere all'anziana madre.
Tanto è vero che, nel versetto del vangelo appena letto é evidente che, essendo Maria
madre di Gesù e del "discepolo che Egli amava", ne deriva che questi era un fratello di "Gesù" o "Egli" stesso (nel I studio, dopo la tabella apostoli, abbiamo elencato i Codici antichi, poi "scartati", nei quali in Matteo 13,55 risulta anche Giovanni compreso nei figli di Maria). Ma, dal momento che "il discepolo prediletto" si chiamava Giovanni e sotto la croce non poteva esserci nessuno poiché lo vietava la legge romana, si dimostra che Egli, "Gesù", era Giovanni ... sulla croce. Senza alcun discepolo né sotto, né vicino alla croce ... confermato dai vangeli canonici:

"Allora tutti i discepoli, abbandonandolo (Gesù), fuggirono" (Mt 26,56).

In ultima analisi, l'innominato "discepolo che Egli amava" non é altri che l'avatar di Giovanni; nome che non appare nel "vangelo di Giovanni" fra gli apostoli chiamati al Suo seguito da Cristo perché Giovanni è Lui: "Gesù".


Il "Vangelo di Giovanni" così inizia:

                                        “Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni
                                              Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di Lui,
                                                              eppure il mondo non lo riconobbe.
                                              Venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto
                                                                             
(Gv 1, 6-1)      

                                       

Giovanni”, é l'unico appellativo indicato nel pròlogo di questo vangelo, trascritto da un'altro originale, in cui, pur richiamandosi al Dio Creatore, non appariva il nome di "Gesù Cristo" che verrà aggiunto, successivamente, dopo aver citato "Giovanni Battista" per mascherare il vero "Giovanni" del proemio. Infatti il richiamo conclusivo del pròlogo non può riguardare il Battista: un dato di fatto che accerteremo fra poco. Intanto, a riprova di quanto appena affermato, subito leggiamo: "Chi sei tu? Egli confessò e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo»" (Gv 1,20).
Un raggiro di parole visibilmente manomesse per smentire il vero Giovanni, il quale, nel vangelo primitivo, dichiarò "Io sono il Messia", ribadito nello stesso testo, che stiamo per declamare, nel quale lo si accusa di essersi proclamato Re ... ma sappiamo bene che un vero monarca giudeo si sottoponeva al rituale dell'unzione, da cui "Unto", in aramaico "Meshiah".
Sull'attesa messianica degli Ebrei, Luca si spinge oltremodo:
 
"Il popolo era in attesa e tutti si domandavano, riguardo Giovanni, se non fosse Lui il Cristo" (Lc 3,15).
 
Un concetto prettamente cristiano che, come in altri numerosi casi, fraintende la Legge ebraica: il popolo d'Israele era in attesa del Messia divino, ma la sua speranza non poteva spingersi oltre, facendo nomi inutili, perché era consapevole che solo Yahweh avrebbe scelto il vero Messia...

"Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero (Gesù) da Pilato e lo accusarono: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo (Messia) Re» (Lc 23,1).
"Se (Pilato) liberi costui (Gesù) non sei amico di Cesare! Chiunque si fa Re si mette contro Cesare" (Gv 19,12).

La comparazione fra le testimonianze dei due vangeli evidenzia la accusa rivolta a un "costui", senza precisarne il nome, colpevole di incitare la popolazione a non pagare i tributi all'imperatore di Roma e di essersi proclamato "Re dei Giudei" consacrandosi (tramite l'unzione) come loro Messia.
Da sottolineare la descrizione della vicenda, narrata da ignoranti, non risulta conforme al diritto romano che imponeva ad un Prefetto imperiale l'obbligo di eliminare chiunque si autoproclamasse Re in un territorio di proprietà del Cesare - per di più con intenti apertamente sovversivi contro il pagamento dei tributi imposti da Roma - senza che nessuno osasse ricordargli quale fosse il suo dovere (ius gladii).

Nonostante le precise accuse rivolte dall'assemblea ad un "Re Messia", insediatosi sul trono di Gerusalemme senza il decreto imperiale di Tiberio, stando alla farsa di processo escogitato da scribi cristiani inetti ... il Magistrato romano Ponzio Pilato, Governatore della Giudea, anziché chiedere, innanzitutto, conferma della vicenda al Tribuno imperiale - suo vice diretto e comandante della guarnigione militare accasermata nella Fortezza Antonia di Gerusalemme - indirizza all'accusato la domanda idiota: "«Sei tu il Re dei Giudei?». E Gesù rispose «Tu lo dici: io sono Re»" (Gv 18,37).
Di seguito, non rilevando la conferma alla sua precisa accusa, il Prefetto romano viene reiteratamente descritto dagli evangelisti come un fantoccio, il quale, indifferente al fatto di essere stato esautorato, da un sedicente "Re dei Giudei", dei suoi poteri-doveri attinenti ad un "Governatore dei Giudei", sentenzia: "«Non trovo nessuna colpa in quest'uomo»" (Lc 23). A chiunque abbia acquisito le basi storiche minime, concernenti il diritto vigente nell'Impero Romano, retto dai potenti Governatori provinciali, non resta che bollare come "pagliacciata" il "processo a Gesù", ad iniziare da quell'insignificante "costui", citato sopra, per nascondere il vero appellativo con la specifica del casato, indispensabile ad individuare un sedicente "Re dei Giudei" e gli immancabili complici.
In realtà, il vero nome di "costui" era Giovanni, travestito maldestramente da “Giovanni detto il Battista”; come, sin dall'inizio, la Chiesa ebbe tutto l'interesse farci credere per nascondere i nomi degli autentici protagonisti Zeloti, richiamati fedelmente nei vangeli primitivi; nomi e relativi attributi, da celare nei vangeli riformati, ricorrendo spesso allo stratagemma di camuffarne anche le gesta estremiste:
 
"In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; perciò la potenza dei miracoli opera in lui»" (Mt 14,1-3).
 
Il vero Giovanni, in realtà, fu uno degli zeloti "boanerghès", "figli dell'ira di Dio", la cui dottrina nazionalista, la quarta filosofia ebraica, spingeva il popolo a non pagare le tasse a Roma. Un "Giovanni" che venne mascherato dietro l'omonimo Battista, il quale, a sua volta, fu fatto passare da Luca, addirittura ... per cugino di "Gesù Cristo". Parentela assurda ignorata nel vangelo di "Giovanni" che dimostra l'artificio degli scribi ecclesiastici quando scelsero di far interagire i due protagonisti.

Una ingenuità che si evidenzia ancor più quando Eusebio di Cesarea inventò il "Testimonium Flavianum" e lo accreditò a Giuseppe Flavio facendo apparire che Gesù Cristo era famoso, ma dimenticò di menzionare la parentela del Battista con il più importante "Cristo", un Dio risorto tre giorni dopo la Sua morte (cfr HEc. I 11,7 con Ant. XVIII 63 ). 
"Giovanni" non poteva essere stato il Battista per la ragione che la storia è chiara e insegna che quest'ultimo venne eliminato, molti anni dopo il mitico "Gesù", da un solo nemico: Erode Antipa il Tetrarca*. Fu lui ad ucciderlo proprio perché, contrariamente al brano (Gv 1,11) appena letto nel pròlogo Venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accoltola sua gente lo aveva accolto con troppo favore:

 

Quando la gente si affollava intorno a lui (Giovanni Battista), essendo i suoi sermoni giunti al più alto grado, Erode (Antipa) si allarmò. Una eloquenza che sugli uomini aveva effetti così grandi, poteva portare a forme di sedizione … a motivo dei sospetti di Erode, fu portato in catene nel Macheronte, una fortezza in Perea, e quivi fu messo a morte. Ma il verdetto dei Giudei fu che la rovina dell'esercito di Erode fu una vendetta di Giovanni, nel senso che Dio giudicò bene infliggere un tale rovescio a Erode” (Ant. XVIII 118/9).


* Erode Antipa sposò Erodiade pur avendo in moglie un'altra pricipessa: la figlia di Areta IV, Re degli arabi Nabatei. Antipa Tetrarca contava di essere nominato Re da Tiberio, ma solo una delle due mogli pricipesse avrebbe potuto divenire Regina. Erodiade pose questa condizione, che Erode accettò in segreto, ma la figlia di Areta lo venne a sapere ed informò il padre che dichiarò guerra al Tetrarca, rivendicando, al contempo, territori che confinavano con la Perea, amministrati dal semiebreo erodiano. Territori, comunque, di dominio romano sotto forma di "Protettorato".

 
Nei Vangeli si equivoca volutamente fra Giovanni Battista e “Gesù”, usando il primo come "controfigura" del secondo, sovrapponendo le due figure ideologiche al punto che san Luca inizia la sua novella con la “Natività” di:

Giovanni Egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti” 
 (Lc 1,13/15).

Chi non poteva bere vino era un “Nazireo”, ma, secondo la storia, Giovanni Battista non era un Nazireo, tanto meno un Messia. Giuseppe Flavio era ebreo e sapeva benissimo cosa rappresentava il "Messia" per i Giudei, così come conosceva i Nazirei. Giuseppe F. li descrive, decantandoli per l'importanza alla stregua di Samuele e Sansone, consacrati a Dio tramite il voto di nazireato; pertanto, se il Battista fosse stato un Nazireo come loro, lo storico ebreo lo avrebbe specificato nel lungo brano a lui dedicato.
Parimenti, oltre che per dovere di cronaca ma, soprattutto, in quanto sacerdote fariseo, Giuseppe si sarebbe sentito in obbligo di informare l'intera ecumene giudaica che Giovanni Battista fu precursore e Profeta dell'imminente avvento di un Messia divino, per di più depositario di una dottrina totalmente diversa da quella ebraica. Questo secondo i vangeli. Inoltre, lo storico ebreo, avrebbe riferito anche della parentela con l'ancor più celebre Messia "Gesù", confermando la notizia evangelica che lo attesta come cugino di Giovanni Battista.

A maggior ragione, data l'eccezionalità dell'evento messianico atteso dai fedeli Giudei, lo storico Giuseppe avrebbe informato i lettori che il popolo scambiò il Battista addirittura per un Messia, come scritto superficialmente da Luca.
L'insieme dei dati evidenziati nelle scritture evangeliche sono di stretta pertinenza al credo giudaico, pertanto, se Giuseppe Flavio non li ha richiamati nella particolareggiata vicenda storica, ciò vuol dire che non sono veri, quindi gli scribi cristiani hanno mentito ... ma con un disegno preciso che stiamo per scoprire.

 
Innanzi tutto, "Nazireo" (lat. Nazireus") era l'appellativo del fedele ebreo che si consacrava a Dio vincolandosi per tutta la durata del voto a non bere bevande inebrianti e mantenere intonsa capigliatura e barba. Gli aderenti entravano a far parte della setta dei Nazirei collegata direttamente con "Yeshùa" Giovanni, diversamente dal Battista.

Dopo la profezia appena letta su Giovanni Nazireo, Luca continua la narrazione descrivendo prima la "natività" di "Giovanni", poi quella di "Gesù"… come se quella di Cristo sia stata aggiunta dopo; inoltre, nella sua esposizione dell'evento, giunge sino a "dipingere" una relazione intermaterna di un feto:


“Maria, entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo(Lc 1,41).


Lo scriba cristiano riferisce che “Giovanni”, ancora nel grembo della sua ipotetica madre “Elisabetta”, quando arriva Maria la “riconosce o percepisce” come sua vera madre, ma ... essendo fisicamente impossibile che, nel 6 a.C. (secondo la datazione moderna della Chiesa), Luca abbia potuto poggiare l’orecchio sul ventre di Elisabetta, ci siamo sforzati di immaginare il Padreterno, quando, “dall’Alto dei Cieli”, si chinò per suggerire nell’orecchio del santo evangelista (a lui solo) questo particolare del “sussulto” del feto all’interno di un grembo materno e farlo tramandare ai posteri credenti … beati poveri di spirito. Fedeli ai quali i preti, ed i loro pedissequi esegeti, "dimenticano" di evidenziare che l'evangelista Luca, secondo la "tradizione", nacque il 10 d.C., cioé 16 anni dopo la "Natività" di Gesù e conseguente "strage degli innocenti".
 

Nel "Protovangelo di Giacomo" leggiamo:

 

“Elisabetta, sentito che si cercava Giovanni, lo prese e salì sulla montagna (22,3). Erode cercava Giovanni…e disse loro: «è Giovanni colui che regnerà su Israele»” (op.cit. 23,1-2).

 

In questo vangelo, un manoscritto stimato più antico dei Codici Vaticano e Sinaitico, perché Erode il Grande ancora vivo (sarebbe morto il 4 a.C.) avrebbe dovuto sapere della nascita di un bambino ebreo di nome “Giovanni”, il quale, se fosse stato "Giovanni Battista", non era destinato a divenire “Re dei Giudei”? … Diritto che spettava alla stirpe degli Asmonei? E di quale “montagna” poteva trattarsi se non quella di Gàmala? … la patria di Giuda il Galileo e dei suoi figli: Giovanni, Simone, Giacomo, Giuda e Giuseppe.

Procedendo con la ricerca, potremo stabilire che i primitivi "vangeli di Giovanni”, degli Esseni, non erano manoscritti fatti da “Giovanni”, ma narravano di “Giovanni Messia Salvatore”.


Nello studio precedente abbiamo verificato l'inesistenza di san Giovanni apostolo, "il prediletto del Signore". Per tale dimostrazione, data la lunga vita e la veneranda età accreditata al "discepolo che Gesù amava", inevitabilmente, ci siamo avvalsi delle testimonianze dei "successori degli apostoli", dei quali il primo é stato Simone "parente di Gesù", fatto passare come secondo Vescovo di Gerusalemme, dopo Giacomo il Minore.
"Successori" riferiti dalla "tradizione ecclesiastica", pervenutaci da antichi manoscritti che continueremo a confrontare fra loro per verificare cosa riuscirono ad inventarsi i "Padri" cristiani al fine di "testimoniare" l'esistenza di san Giovanni. Furono obbligati a farlo perché avevavo capito che "il discepolo che Gesù amava" era "Giovanni Gesù", ma, in base al loro intento, se Giovanni invecchiò nessuno avrebbe mai potuto sospettare che era lui Gesù "Crocifisso".

Individuati tutti e quattro i fratelli, compreso il più giovane, "Giuseppe" (vedi XV studio) ... nella storia non si deve ricercare un inesistente "Gesù Cristo risorto", ma “Giovanni”: un comune mortale, personaggio di primo piano, famoso tra i Giudei ancor più dei suoifratelli”. Intenzionalmente, il suo appellativo venne scartato in quelle versioni dei vangeli di Matteo che lo rappresentavano insieme a tutti i figli di Maria; viceversa, lo abbiamo visto nel I argomento, gli ecclesiastici scelsero i manoscritti nei quali non fu mai nominato contemporaneamente agli altri quattro fratelli perché lui era il vero soggetto”, indicato con “costui” per riempire il "vuoto" lasciato da quel nome.
Eccetto il falso "Testimonium Flavianum" e il finto "Giacomo, fratello di Gesù Cristo", ricercare autentiche tracce di "Gesù Cristo" nelle opere di Giuseppe Flavio é un'impresa vana a priori poiché lo storico era ebreo e tale rimase sino alla morte. Nel XIII argomento, infatti, dimostriamo che "Gesù", "Cristo" e "Nazareno" non erano nomi propri ma titoli divini.

Giovanni e i suoi fratelli furono promotori di imprese rischiose sino al martirio, imprese di capi guerriglieri integralisti, di “falsi profeti sobillatori”, di “fanatici nazionalisti”, di ... Zeloti.

E questo Giovanni, uguale a "Gesù" sino alle "impronte digitali", lasciate dai "cibi proibiti ed Egli aveva abbandonato le tradizionali regole di purità" (Bellum VII 264) mangiati senza aver fatto le rituali abluzioni prima del pranzo, alla stregua di Cristo, la storia ce lo restituisce attraverso un ricordo, lontano nel tempo, rievocato dallo storico ebreo Giuseppe Flavio a guerra finita, dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio da parte di Tito: un intero capitolo di ben 22 paragrafi.
Leggiamolo attentamente e scopriremo insieme le gesta di Giovanni il Nazireo, che, oltre un secolo dopo, gli Esseni lo identificarono come il “Salvatore, Figlio di Dio” a Lui consacrato col voto di nazireato, un “avvento” da loro già profetato nei rotoli del Mar Morto.

I futuri cristiani gesuiti, dopo aver riformato la originale dottrina essena con l’adozione del rito eucaristico teofagico pagano, lo chiameranno:

Gesù Cristo, il Nazareno, il Messia, il Salvatore, il Redentore, il Signore, il Figlio di DioDio.

Quando lo storico ebreo, Giuseppe Flavio, fariseo conservatore filo romano, si apprestò alla stesura del cap. 8°, Libro VII, de “La Guerra Giudaica”, stava ultimando la descrizione dell’olocausto ebraico provocato dall’intervento delle legioni romane che, dopo aver distrutto, nel 70 d.C., Gerusalemme e il Tempio, avevano risottomesso l’intera Giudea.
In questo momento del racconto, agli ordini del Legato imperiale, Governatore di Siria, i Romani stanno marciando verso Masàda, l’ultima fortezza giudaica rimasta da espugnare. Siamo nel 73 d.C., quasi tutti i ribelli sono stati catturati, uccisi, giustiziati o dispersi; la “guerra santa” giudaica sta finendo e lo storico ebreo si accinge a narrare la fine dello zelota Eleazar, nipote del più famoso rivoluzionario ebreo, dall'avventi di Cristo in poi: “Giuda il Galileo” di Gàmala, descritto come nemico dei Romani e ripetutamente citato nelle sue opere.
Giuseppe Flavo lo ha sempre ribadito: tutti i mali che si abbatterono sui Giudei, dall’epoca del censimento (6 d.C.) di Publio Sulpicio Quirinio e successiva, ebbero inizio da Giuda il Galileo, il fariseo ribelle, “Dottore della Legge di grande potere, ideologo della “quarta filosofia, una novità finora sconosciuta”.
Il Signore di Gàmala e i suoi discendenti, tutti Zeloti (Farisei rivoluzionari), uno dopo l’altro, furono ritenuti dal cronista ebreo i principali responsabili della dottrina che ha portato alla catastrofe finale appena descritta. Sarà stata la sorte, ma, poiché tutto ebbe inizio da Giuda il Galileo, secondo questa rievocazione, tutto stava per concludersi con lultimo suo discendente:Eleazar bar Jair (Lazzaro, figlio di Giairo: questi aveva sposato una figlia di Giuda).
Dunque, con un ricordo di vicende lontane nel tempo, così inizia la rievocazione, fatta dallo storico ebreo Giuseppe, narrata in “La Guerra Giudaica”, Lib. VII cap. 8°:

252 “Al governo della Giudea, morto Basso, era succeduto Flavio Silva. Questi, vedendo che tutto il resto del paese era stato sottomesso con le armi, tranne ununica fortezza ancora in mano ai ribelli, raccolse le forze che stavano nella regione e mosse contro di essa. Masàda è il nome di questa fortezza. 253 A capo dei sicari c’era Eleazar, uomo potente, discendente di quel Giuda (il Galileo) che, come sopra abbiamo detto, aveva persuaso non pochi Giudei a sottrarsi al censimento fatto a suo tempo da Quirinio nella Giudea. 254 A quellepoca (6 d.C.) i sicari ordirono una congiura contro quelli che volevano accettare la sottomissione ai Romani e li combatterono in ogni modo come nemici, depredandoli degli averi e del bestiame e appiccando il fuoco alle loro case”…

Abbiamo letto e riletto l’intero capitolo 8° e, in tutti i paragrafi riportati, dal 252 al 275, non abbiamo riscontrato alcuna discontinuità cronologica nella descrizione, drammatica, delle vicende e i protagonisti coinvolti. Lo storico, una volta citato il “Giuda del censimento”, fautore di una guerra civile tra Giudei, non riesce a trattenere i ricordi dolorosi che coinvolsero la sua famiglia a partire da quei gravi eventi. Descrive episodi di violenza e crudeltà facendo nomi in sequenza, risalendo nel tempo, sino ai due ultimi paragrafi … in cui Giuseppe conclude:

274 “A esprimere degnamente il dovuto compianto per le vittime della loro (degli Zeloti) ferocia non mi sembra questo il momento più adatto e perciò ritorno al punto in cui avevo interrotto la narrazione” e, infatti, si riallaccia alla narrazione iniziale: “275 Il comandante romano (Flavio Silva) mosse alla testa delle sue truppe contro Eleazar e la sua banda di sicari che occupavano Masàda, e ben presto si assicurò il controllo dell’intera regione stabilendovi dei presidi nei luoghi più opportuni … Predisposto tutto ciò, Silva si dedicò all’assedio…” (di Masàda).

Quando lo scrittore, al par. 254, parla di quellepoca si riferisce ad un periodo storico, epico ma remoto, da cui iniziarono vicende degne di essere ricordate, non ad un passato prossimo, come la guerra giudaica ancora in corso, pur se quasi finita, mancando solo Masàda, l’ultima roccaforte ancora occupata dai "sicari" (i sicari costituivano il braccio armato del movimento zelota) che sta per essere espugnata dai Romani. Premessi i dovuti chiarimenti, dopo i par. 252 e 253 appena riferiti, riprendiamo a leggere attentamente dal:

254 “A quellepoca (6 d.C.) i sicari ordirono una congiura contro quelli che volevano accettare la sottomissione ai Romani e li combatterono come nemici depredandoli degli averi e del bestiame e appiccando il fuoco alle loro case; 255 sostenevano, infatti, che non cera nessuna differenza fra loro e gli stranieri dato che, ignobilmente, buttavano via la libertà per cui i Giudei avevano tanto combattuto, dichiarando di preferire la schiavitù sotto i Romani. 256 Ma queste parole erano un pretesto per ammantare la loro ferocia e la loro cupidigia. 257 In realtà, quelli che si unirono ad essi (i sicari) nella ribellione e presero parte attiva alla guerra (causata dal censimento) contro i Romani, ebbero a subire da loro atrocità più terribili, 258 e quando poi vennero ancora convinti di falsità nella giustificazione che adducevano, ancor più essi (i sicari) perseguitarono chi, per difendersi, denunciava le loro malefatte. 259 Quellepoca (lo ribadisce ancora) fu certamente così prolifica di ogni sorta di ribalderia fra i Giudei, sicché nessun delitto fu lasciato intentato, né chi volesse escogitarne di nuovi riuscirebbe a trovarli: 260 a tal punto erano tutti bacati nella vita privata come in quella pubblica, e facevano a gara tra loro nel commettere empietà contro Dio e soprusi contro i vicini: i Signori opprimendo le masse e le masse cercando di eliminare i Signori. 261 Infatti gli uni avevano una gran sete di dominio, gli altri di scatenare la violenza e di impossessarsi dei beni dei ricchi. 262 Furono dunque i sicari quelli che per primi (dal 6 d.C.) calpestarono la Legge e incrudelirono contro i connazionali, senza astenersi da alcun insulto per offendere le loro vittime, o da alcun atto per rovinarle. 263 Eppure Giovanni fece sì che anche costoro (i sicari) sembrassero più moderati di lui; egli infatti non soltanto eliminò chiunque dava giusti e utili consigli, trattando questi (uccise i Sadducei e i Farisei conservatori che lo blandivano) come i suoi più accaniti nemici fra tutti i cittadini, ma riempì la Patria di uninfinità di pubblici mali, quali inevitabilmente doveva infliggere agli uomini chi già aveva osato di commettere empietà verso Dio. 264 La sua mensa era infatti imbandita con cibi proibiti ed aveva abbandonato le tradizionali regole di purità, sì che non poteva più far stupore se uno, che era così follemente empio verso Dio, non osservava più la bontà e la fratellanza verso gli uomini”.

Alt. A questo punto, gli storici mistici entrano in fibrillazione e aggiungono una nota “chiarificatrice” per spiegarci che si tratta di “Giovanni di Giscala” della guerra del 66/70 d.C.; ci vogliono far credere che questa descrizione è una ripetizione di avvenimenti appena successi; invece no! Sappiamo che stiamo leggendo un ricordo riferito all’epoca di Giuda il Galileo e successiva. Lo storico ha iniziato a parlare dell’illustre rivoluzionario e il capo zelota “Giovanni” che cita subito dopo, evidentemente, fu una persona famosa, per essere ricordato dopo tanto tempo e, come protagonista delle stesse gesta, legato ideologicamente a Giuda il Galileo.
Abbiamo, sin qui, cercato un “Giovanni” nelle opere dello storico e, da come si presenta questo personaggio, pensiamo valga la pena indagare se la sua descrizione è coerente al Signore di Gamala e agli altri suoi figli; quindi, visto che è il primo a succedergli, proviamo a considerare lipotesi, da verificare, che sia il suo primo discendente, Giovanni, cui è stato tolto “figlio di ?” (bar): un fatto impossibile da imputare a Giuseppe Flavio, il quale, quando descrive i protagonisti, in prima citazione li identifica sempre con il patronimico.
Intanto facciamo una prima constatazione: il “Giovanni di Giscala” del 66 d.C., che gli esegeti clericali hanno ripescato per “incarnare” il “Giovanni” rievocato, non incendiava i poderi nelle campagne della Giudea; piuttosto, consapevoli che stiamo leggendo vicende risalenti ad un’epoca iniziatasi dal censimento di Quirinio in poi, sappiamo che chi incendiava le case erano gli “apostoli”, fra cui “Giovanni”, qualificato nei Vangeli fra i Boanerghes (Mc 3,17 - vedi I studio) che vuol dire Figli dellIra (di Dio) e, come tali, distruggevano e depredavano i borghi filo romani che non erano dei loro.

Luca, nel suo Vangelo, riferisce cosa dissero gli “apostoli” contro un villaggio della Samaria che non li aveva “ospitati”: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” (Lc.9,53 - l’ipocrisia della traduzione si commenta da sé); o lo stesso “Gesù”: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc.12,49). Da notare che, per primi i sicari (erano zeloti armati di "sica", un pugnale a punta curva, da cui "sicario" cioè lo stesso appellativo apostolico di “Giuda iscariota”, come chiarito nel I studio) erano entrati in azione a partire dalla rivolta del censimento.
Ma andiamo avanti con la lettura … e con lipotesi:

265 “D’altra parte, poi, Simone figlio di Giora quale delitto non commise? Quale sopruso risparmiò a coloro che come liberi cittadini lo avevano eletto a loro capo? …

Stop. In vicende risalenti a mezzo secolo prima, all’improvviso appare “Simone figlio di Giora”, un personaggio, il più famoso della guerra attuale, già ucciso, il quale non ha avuto nulla a che vedere con l’autentico “Simone” richiamato alla memoria, protagonista di gesta remote, come stiamo per accertare, totalmente diverse da quelle del “figlio di Giora”…

266 “Quale amicizia, quale parentela non rese questi due più audaci nelle loro stragi quotidiane? Essi consideravano un atto di ignobile cattiveria far male agli estranei, mentre ritenevano di fare una bella figura mostrandosi spietati verso i parenti prossimi.

A seguito la lettura del paragrafo 264, evidenziamo che Cristo, come questoGiovanni”, fu descritto dagli evangelisti come un mangione, inoltre, “Simone” (in Mt 16,17 è definito in aramaico "Simon Barionà", che significa “Simone latitante”, in quanto considerato fuorilegge), fratello di Giovanni, in base ai vangeli “inaffidabili” elencati nel I studio, era ricercato dai Governatori della Giudea sin dall’epoca di “Gesù”. L’accostamento incruento, in questo paragrafo, senza massacri reciproci, rafforza l’ipotesi che, effettivamente, potrebbe trattarsi di due fratelli del presunto “Cristo”, “Giovanni e Simone”, il secondo qualificato nel vangelo come “barionà” (vedi finale I studio), ora celato nei panni di “Simone figlio di Giora”.
Infatti, la lettura accurata di “La Guerra Giudaica” dimostra che, al contrario di questo lontano ricordo, i Giovanni e Simone nel 70 d.C. non erano parenti e si trucidarono fra loro; pertanto il “figlio di Giora” del memoriale potrebbe essere una “pia” falsificazione fatta dai copisti amanuensi che trascrissero quest’opera nel "Codex Sangallen Gr 627" redatto nel X secolo. I due autentici protagonisti del 70, già eliminati dal Generale Tito in questo momento del racconto, sono assolutamente diversi; sia per la non avvenuta spietatezza contro i parenti, sia nelle azioni, riferite in diretta dallo storico, ascritte ai veri “Giovanni di Giscala” e “Simone figlio di Giora”. Costoro, durante il corso della guerra sino alla distruzione di Gerusalemme, sono stati propugnatori di ideologie nemiche, che descriviamo fra poco, totalmente contrapposte. Viceversa, questi due, Giovanni e Simone sopra citati, condivisero la stessa dottrina.
Avanti con lipotesi e leggiamo …

267 Eppure, la follia omicida di costoro venne superata dal pazzo furore degli Idumei. Infatti questi empi furfanti, dopo aver ammazzato i Sommi Sacerdoti affinché non si conservasse neppure la più piccola particella della pietà verso Dio, sfasciarono tutto ciò che restava degli ordinamenti civili introducendo dappertutto la più completa anarchia. 268 In tale clima prosperarono al massimo gli Zeloti, un’associazione che confermò con i fatti il suo nome; 269 essi infatti imitarono ogni cattiva azione e non tralasciarono di emulare alcun misfatto registrato nella storia”…

Stop. Gli esegeti genuflessi sono in agitazione: Giuseppe Flavio ha osato scrivere “Zeloti”, pertanto infilano note e richiami nei loro testi critici per “spiegarci” la “malevola interpretazione” di questa parola: sanno che tale citazione prova che gli “Zeloti” si definirono con tale nome ed iniziarono ad operare dal 6 d.C. e sanno anche che nei vangeli c’è ancora scritto Simone lo Zelota (Lc 6,15; At. 1,13). Ma, appena descritto in questo ricordo che “Simone bar Giora” e “Giovanni” risultano entrambi zeloti, in base alla tesi proposta, diventa logico equiparare alle loro gesta i "canonici": “Giovanni”, qualificato tra i “Boanerghes” (Mc 3,17 - vedi I studio i “figli dell’Ira”) e “Simone zelota” per le gesta estremiste. Ma se i chiesastici sono turbati, beh, allora, vuol dire che la supposizione fatta, a mano a mano procediamo, diventa sempre più concreta.
Infatti, i veri Giovanni di Giscala e Simone figlio di Giora del 66 d.C., possiamo assicurare i lettori, non facevano stragi quotidiane di parenti prossimi, al contrario di Giovanni e Simone di quellepoca, citati dallo storico subito dopo loro padre, Giuda il Galileo. Sono tutti ricordati e collegati, ideologicamente (zeloti e sicari, stessi appellativi evangelici), per le imprese descritte e per la parentela che li univa, in un sunto rievocativo che li comprende fra il primo e l’ultimo: Giuda il Galileo ed Eleazar suo discendente finale (al momento ancora vivo arroccato a Masada).
Per quanto concerne l’odio esternato da Giuseppe contro “il pazzo furore degli Idumei”, va precisato che gli abitanti dell’Idumea, regione confinante a sud con la Giudea, furono sottomessi da Giuda il Maccabeo nel II sec. a.C. e convertiti all’ebraismo dal Re Giovanni Ircano I (in carica dal 134 al 104 a.C.): “si sottomisero alla circoncisione e la loro maniera di vivere la fecero, sotto ogni aspetto, conforme a quella dei Giudei. Da allora in poi continuarono ad essere Giudei” (Ant. XIII, 258). Gli Idumei si allearono, contro il dominio di Roma e delle privilegiate caste sacerdotali giudaiche, ai rivoluzionari Giudei già dalla morte di Erode il Grande e, dopo lannessione (imposta da Cesare Augusto con l’obbligo dei tributi) dellIdumea, con Giudea e Samaria, alla Provincia di Siria, continuarono a ribellarsi sino a tutta la guerra del 66-70 d.C.

Ma riprendiamo:
270 “Eppure il loro nome (Zeloti) l’avevano derivato dal loro preteso zelo nell’aspirare alla virtù, sia che volessero prendersi gioco, con la loro bestiale natura, delle vittime dei loro soprusi, sia perché stimavano beni i peggiori dei mali. 271 Comunque, fecero (passato remoto) tutti la fine che meritavano, perché Dio diede a ciascuno la giusta punizione; 272 infatti tutti i castighi che mai possono colpire un uomo si abbatterono su di loro anche fino all’ultimo istante di vita, facendoli morire fra i più atroci tormenti dogni sorta.

Stop! Visto che i dotti esegeti, pervasi da profonda fede, si sono zittiti con le note “chiarificatrici”, allora dobbiamo “chiarire” noi: il falsoSimone figlio di Giora”, che i copisti hanno adottato come pretesto per depistarci da Simone Barionà (“Simon Barionà” Mt 16,17 - vedi I studio 4^ parte) “latitante ricercato", è un alibi fasullo, perché quello vero fu decapitato il 71 d.C. senza preliminare supplizio, a Roma, nel Carcere Mamertino (in cui è conservata una lastra di marmo con incisi i nomi dei nemici costretti a sfilare durante il trionfo di Tito ed essere poi giustiziati, fra cui “Simone di Giora”), al termine della sfilata trionfale. “Zac!”… Questa non è la morte descritta da Giuseppe Flavio: fra i più atroci tormenti di ogni sorta fino allultimo istante di vita, e nemmeno la morte che temevano gli Zeloti.
E soprattutto, il veroGiovanni di Giscalanon venne ucciso mafu imprigionato a vita: altro alibi fasullo (Bellum VI 434). “Di Giscala”, introdotto nelle note “chiarificatrici” dai chiesastici, è servito a creare una controfigura per depistarci da Giovanni, figlio di Giuda il Galileo. Infatti - poiché "La Guerra Giudaica" fu redatta da Giuseppe Flavio, sotto Vespasiano, fra il 75 e il 79 d.C. - mentre lo storico riferiva la testimonianza appena letta, Giovanni di Giscala era sempre vivo in carcere.

Anche se la cronaca non riferisce il patronimico di “Giovanni”, non è difficile capire che lunico nome da eliminare doveva essere “Giuda il Galileo”, il padre di figli con i nomi corrispondenti a quelli indicati nei vangeli come figli di Mariaanchessi senza patronimico (vedi I studio). Scoperti ed eliminati i pretesti, falsamente addotti per fuorviarci, risulta che lo storico sta rievocando l’epopea di quella famiglia parente-nemica della sua per più di mezzo secolo; e i primi protagonisti del ricordo sono: Giuda il Galileo e suo figlio Giovanni, crocifisso il 36 d.C. (reo di essersi proclamato "Re dei Giudei", come proviamo nel seguente X studio), al quale i futuri cristiani gesuiti dettero nome “Gesù Cristo”. Poi segue Simone, nei vangeli "detto Kefaz" (“pietra”: vedi tabella apostoli e finale I studio); è importante notare che più avanti, in tale studio, vengono citati anche i codici che indicano Simone assieme a Giovanni, tra i figli di Maria: quindi "Simone detto Kefaz", vale a dire "detto pietra" che gli scribi evangelisti interpretarono forzosamente come “Pietro”, per poi beatificarlo col nome di "san Pietro".
Intanto, a questo punto del memoriale, l'ultimo sopravvissuto della famosa dinastia zelota è Eleazar, figlio di Giairo e nipote di Giuda il Galileo, ancora vivo, arroccato a Masada.
Ora riprendiamo la lettura dal...

273 “Eppure potremmo dire che le loro sofferenze furono inferiori a quelle che essi avevano inflitte a chi era caduto nelle loro mani, perché non esistevano pene adeguate (è un odio di faida). 274 A esprimere degnamente il dovuto compianto per le vittime della loro ferocia non mi sembra questo il momento più adatto, e perciò ritorno al punto in cui avevo interrotto la narrazione. 275 Il comandante romano Flavio Silva mosse alla testa delle truppe contro Eleazar e la sua banda di sicari che occupavano Masada …”

Abbiamo evidenziato, sia la continuità narrativa del ricordo, sia la sequenza degli eventi a partire dal 6 d.C. con i relativi interpreti, sia il falso patronimico (figlio di Giora) introdotto per depistare la ricerca storica. I mistici amanuensi del decimo secolo ebbero la presunzione di “datare” un intero capitolo di 22 paragrafi semplicemente introducendo questo falso patronimico “figlio di (“bar” in aramaico) Giora”, sottovalutando, ingenuamente, le difformità, evidenziate nel racconto, che distinguevano le gesta delle due coppie di protagonisti, separate fra loro di una generazione.

Giuseppe Flavio non aveva alcuno scopo, né avrebbe avuto senso, rifare il sunto dell’intera tragedia bellica che aveva appena descritto dettagliatamente, compresi gli ultimi interpreti, ormai tutti morti … piuttosto, era doveroso rievocare chi generò lideologia e le gesta degli iniziali, se pur lontani nel tempo, responsabili dellolocausto finale.
Nel paragrafo 267 lo storico riferisce un evento storico, estremamente grave ed unico, riguardante l’uccisione contemporanea di Sommi Sacerdoti e della distruzione degli ordinamenti civili (un cambio di potere nel Sinedrio e nel governo giudaico), ma…perché non conclude rammentando la avvenuta, straziante, devastazione di Gerusalemme e del Tempio, come ha già denunciato e descritto più avanti?… No! Non lo può fare perché sta raccontando vicende di un’altra epoca! quellepocain cui Gerusalemme e il Tempio rimasero intatti. Un’epoca in cui, tramite l’uccisione di Sommi Sacerdoti (potere religioso) e la distruzione degli ordinamenti civili (potere politico militare), avvenne un vero e proprio rivolgimento al vertice delle istituzioni preposte alla guida della patria Giudea, come vedremo meglio nel prosieguo della nostra analisi. Infatti, Giovanni e Simone del ricordo vengono visti come alleati, coerenti ideologicamente e fautori di di gesta rivoluzionarie contro le istituzioni; mentre Giovanni di Giscala e Simone bar Giora non furono né alleati, né i promotori della guerra del 66, ma subentrarono dopo che altri condottieri sacerdoti si posero a capo della ribellione e del governo rivoluzionario, eliminandosi reciprocamente.

Il "Giovanni" del 66/70 d.C. è un personaggio descritto in maniera completamente diversa:
“Un intrigante di Giscala, di nome Giovanni, figlio di Levi, il più farabutto e il più astuto fra tutti quelli famosi per tali pessime qualità…mentre fingeva mitezza era pronto ad uccidere anche solo per speranza di guadagno…”  (Bellum II, 585/587);
“A Giscala le cose stavano così: Giovanni figlio di Levi (questo era il patronimico che, smentendo le tesi clericali, non poteva risultare nel ricordo), vedendo che alcuni cittadini erano esaltati alla idea della ribellione ai Romani, si adoperava per calmarli e pretendeva che si mantenessero fedeli (a Roma). Tuttavia, nonostante il suo impegno appassionato, non vi riuscì (Bios 43-44).

Diversamente dal “Giovanni” rievocato nel ricordo, Giovanni di Giscala era un capobanda ambizioso e opportunista ma non antiromano e innanzitutto non condivideva gli ideali di quella corrente politica religiosa che propugnava un rivolgimento della società giudaica basato sull’eliminazione della schiavitù per rendere gli uomini liberi e senza padroni, un’ideologia che, dall’epoca del censimento in poi, innescò una guerra civile finalizzata ad eliminare chiunque si fosse opposto alla lotta contro gli invasori (kittim) pagani.
A tale scopo, nel lontano passato, i protagonisti del “ricordo” (ad iniziare da Giuda il Galileo), Giovanni e Simone, condividevano lo stesso ideale, al contrario, i due successivi, del 66-70 d.C., vengono illustrati dallo storico ebreo con due personalità e due dottrine, totalmente diverse fra loro: Giovanni, figlio di Levi, era un’opportunista; mentre, il vero Simone figlio di Giora, al contrario era un’idealista che postulava una rivoluzione sociale ed economica finalizzata all’abolizione della schiavitù, promettendo libertà agli schiavi e premi ai liberi”. (Bellum IV, 508), uguale a quella di Giuda il Galileo e dei suoi figli.

Giovanni figlio di Levi, inizialmente filo romano, dopo la sconfitta a Bethoron (novembre 66 d.C.) delle legioni romane condotte dal Legato imperiale Cestio Gallo, da voltagabbana (come Giuseppe Flavio) si posizionò in una delle fazioni ribelli… rimanendo, poi, intrappolato dalle armate romane a Giscala, da dove riuscì a fuggire alla volta di Gerusalemme.
A Roma, nel 68 d.C., dopo la morte di Nerone, a causa della lotta per il potere e la conseguente guerra civile, le operazioni militari dei Romani in Palestina furono sospese e Giovanni di Giscala, illudendosi, come tutti i Giudei, che la guerra tra le fazioni politiche dell’Impero portasse alla sua distruzione, puntò alla conquista del potere a Gerusalemme contro Simone figlio di Giora e contro gli Zeloti.

“Durante la festa degli Azzimi (Pasqua), il 14 del mese di Xantico (fine Marzo 70 d.C.), Giovanni di Giscala attaccò gli Zeloti nel Tempio e li sconfisse (Bellum V, 98/105) obbligando una parte di loro a sottomettersi e passare nella sua fazione".

Vespasiano si limitò ad imprigionarlo a vita, senza sottoporlo alla pena capitale, perché si batté contro Simone figlio di Giora. Questi era il vero, pericoloso, capo: un nazionalista religioso proclamato Salvatore dal Sinedrio e dal popolo (Bellum IV, 508/575). Fu considerato tale sino alla fine, quando, come un “Messia” sconfitto, venne trovato dai Romani, nascosto nei cunicoli della città, con ancora indosso la “Veste Sacra”. Verrà poi decapitato a Roma, nel 71 d.C. nel carcere Mamertino; invece Giovanni di Giscala: no! Nel capitolo appena letto i falsari religiosi non compresero o sottovalutarono la cronologia degli avvenimenti descritti che iniziavano dal 6 d.C. e continuavano, in successione, da “quell’epoca” in poi.

Invitiamo i lettori a rileggere, dall’inizio, il racconto, un paragrafo dopo l’altro, saltando i commenti e le note, per verificare se si rinviene una sola discontinuità cronologica. L’ennesimo richiamo al censimento di Publio Sulpicio Quirinio, ribadendo “quell’epoca,” si riferisce ad un lasso di tempo collocato fra il 6 e il 36 d.C.: quella fu “l’epoca” in cui i Giudei, per 30 anni, dovettero sottostare all’odioso tributo dovuto direttamente a Roma.
L’esazione avvenne fra i continui moti degli Zeloti che osarono opporsi al pagamento del “tributo a Cesare”, e si protrasse fino al 36 d.C. quando, un altro Governatore di Siria, Lucio Vitellio“accolto con sommi onori, rilasciò in perpetuo agli abitanti di Gerusalemme tutte le tasse sulla vendita dei prodotti agricoli(Ant. XVIII, 90).
Come proveremo nel seguente X studio, sarà proprio il Legatus Augusti pro Praetore, Lucio Vitellio, nominato dall’Imperatore Tiberio, Capo di Stato Maggiore di tutto lo scacchiere orientale in guerra contro il Regno dei Parti, a crocifiggere Giovanni il Nazireo a ridosso della Pasqua ebraica del 36 d.C., per aver approfittato del conflitto in atto ed osato conquistare Gerusalemme facendosi incoronare come “Re dei Giudei” a fine estate del 35.

Nel merito puntualizziamo che, nell’XI secolo, i copisti del "Codex Ambrosianus Gr F128" eliminarono dal XVIII libro di "Antichità Giudaiche", che riferiva l'epoca di "Gesù", l'importante richiamo storico, su riferito da Giuseppe Flavio ne “La Guerra Giudaica”, il cui testo fu trascritto un secolo prima dagli scribi nel "Codex Sangallen Gr 627" (X secolo), riguardante il famoso ebreo di nome "Giovanni" (censurato del patronimico) quando, gli aderenti al Movimento di Liberazione Nazionale antiromano ...

"Sfasciarono tutto ciò che restava degli ordinamenti civili introducendo dappertutto la più completa anarchia. In tale clima prosperarono al massimo gli Zeloti, un'associazione che confermò con i fatti il loro nome; essi invero imitarono con i fatti ogni cattiva azione e non tralasciarono di emulare alcun misfatto registrato nella storia" (Bellum VII 267/269).

Infatti nel XVIII libro di "Antichità Giudaiche", durante l’epoca di Cristo (30-36 A.D.), a causa di un ulteriore taglio praticato dagli amanuensi non troviamo "alcun misfatto registrato nella storia" concernente un così grave avvenimento rivoluzionario, quando gli Zeloti "sfasciarono tutti gli ordinamenti civili" (la Costituzione del governatorato romano e del Sinedrio aristocratico fu mutata in monarchia giudaica assoluta: “Cristo Re”).
La Giudea era un paese quasi totalmente ad economia rurale, perciò le tasse sui prodotti agricoli costituivano, di gran lunga, la maggiore entrata per l’erario imperiale pertanto, se Roma vi rinunciò, significa che allora avvenne qualcosa di veramente grave, come accerteremo nel seguente X studio. Ma 30 anni prima:

Un Galileo di nome Giuda spinse gli abitanti alla ribellione, colmandoli di ingiurie se avessero continuato a pagare il tributo ai Romani e ad avere, oltre Dio, padroni mortali. Questi era un Dottore (della Legge) che fondò una sua setta particolare …” (Bellum II, 118).

Il “tributo dovuto a Cesare” è ripreso nei vangeli in modo superficiale e ridicolo. Chi riportò questo particolare - esistenziale per la popolazione nella realtà giudaica di “quell’epoca” - non voleva fare apparire “Gesù” contro la tassazione di Roma, per non identificarlo con gli Zeloti … fino al punto di fargli pronunciare la famosa frase “date a Cesare quel che è di Cesare”. Se questo fosse accaduto, nella realtà israelita di allora, qualche “sicario” lo avrebbe eliminato, senza dargli il tempo di … “risorgere”. I Giudei odiavano quel tributo, come molti popoli sottomessi, ma con un motivo in più e non secondario: quello religioso. Una tassazione che rappresentava la sottomissione della loro divinità a quella pagana: la terra, promessa da Dio al “popolo eletto”, ma acquisita col sangue degli antichi padri, era, di fatto, una terra occupata, come perduta, da riconquistare; ecco perché lo storico ricorda molte volte il “censimento” e lo fa sempre collegandolo a Giuda il Galileo ed ai suoi figli … sino all’ultimo suo discendente: Eleazar. 
Nell’epoca successiva al censimento, le gesta dei fratelli Giovanni e Simone, per le modalità drammatiche narrate, erano ascrivibili solo a loro in quanto derivate da un’ideologia estremista religiosa che considerava nemici anche i parenti che non condividevano quella lotta. Entrambi costoro, come risulta dal “ricordo”, non furono mai in conflitto e soltanto loro potevano essere i veri autori degli avvenimenti narrati. Al contrario, le fazioni di cui erano capi i successivi Giovanni di Giscala e Simone figlio di Giora, durante la guerra giudaica del 66, si massacrarono reciprocamente ma ... non si mostrarono spietati verso i parenti prossimi.

Episodi criminosi di questa gravità, contro i propri parenti, a carico dei veri Giovanni di Giscala e Simone figlio di Giora, lo storico li avrebbe certamente raccontati nella cronaca particolareggiata della guerra “in diretta”; né ci ha descritto, scandalizzato (per lui, ebreo, era una idea fissa), che la mensa di Giovanni di Giscala “era imbandita con cibi proibiti ed egli aveva abbandonato le tradizionali regole di purità” (lavarsi le mani prima di toccare cibo) accusa di empietà, invece, fatta al “Giovanni” richiamato nella memoria. I vangeli così attestano:

“Mentre Gesù stava a mensa, in casa sua molti pubblicani e peccatori si misero a mensa con Gesù … allora gli scribi della setta dei Farisei, (lo storico Giuseppe era un fariseo) vedendolo mangiare con i peccatori, dicevano ai suoi discepoli: Come mai egli mangia e beve in compagnia dei peccatori?” (Mc 2,15-16).
Gli Ebrei consideravano peccatore (come oggi) chi mangiava cibi proibiti dalla Legge mosaica.
“E’ venuto il figlio dell’uomo (Luca fa parlare “Gesù”) che mangia e beve e voi dite: ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e peccatori” (Lc 7,34). “Un fariseo lo invitò a pranzo. Egli (Gesù) entrò e si mise a tavola. Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo  (Lc 11,37-38).
Matteo fa dire a Gesù: Mangiare senza essersi lavate le mani non contamina luomo (Mt 15,20).

La descrizione del “Giovanni”, rievocata dallo storico, corrisponde a quella di “Gesù” anche nelle “impronte digitali” (il “Gesù” dei Vangeli era un Rabbino molto strano: non si lavava le mani prima di mangiare, in compenso lavò i piedi agli apostoli “mentre cenavano”: Gv 13,1). Inoltre, se insistiamo nella tesi che riconosce un rapporto di parentela tra la famiglia sacerdotale, di massimo rango, da cui discendeva Giuseppe Flavio e quella di Giuda il Galileo, entrambe di grande potere, è perché dal racconto risulta evidente che, solo conoscendo a fondo Giovanni, Simone e le vittime cui va il dovuto compianto per la loro ferocia, lo storico poteva affermare che erano parenti fra loro. Lo stesso dicasi per gli altri fratelli, discendenti di Giuda, dei quali, come riportato negli altri passi delle sue opere, lo storico ne conosceva oltre ai vincoli, anche i gradi di parentela.

Ancora: riportare, dopo tanto tempo, una notizia su una tavola imbandita, dimostra, innanzitutto, una conoscenza personale diGiovanni” da parte dei parenti più anziani dello storico (appena prima che lui nascesse) e l’odio, trasmessogli dai suoi familiari, lo spinse a tramandare ai posteri un particolare sui “cibi proibiti” che avrebbe avuto valore solo se riferito ad una persona molto importante e conosciuta nellambiente giudaico; altrimenti, a chi avrebbe potuto interessare, fra i posteri, se un ebreo qualsiasi di nome “Giovanni”, una generazione prima della guerra giudaica (circa 30 anni), mangiò cibi proibiti dalla loro religione? Questo passaggio sui “cibi proibiti”, a prima vista insignificante, in realtà diventa un’ulteriore prova che “Giovanni”, essendo stato un ebreo famoso - le cui gesta “criminali” da Zelota meritarono di essere tramandate - a maggior ragione avrebbe dovuto avere un patronimico che lo identificasse, ma, come abbiamo visto, manca il nome del genitore. Fra i molti appellativi di padri, che avremmo potuto leggere, solo uno aveva una valenza dottrinale tale, per il cristianesimo, che non poteva essere citato: Giuda il Galileo, il padre di Giacomo, Giuda, Giuseppe, Simone e…Giovanni.

I copisti evangelici sapevano che i figli di Giuda di Gàmala avevano i nomi dei quattro fratelli del Gesù” dei Vangeli, più Giovanni”, ma…con un “Gesù” di troppo, nell’insieme dei cinque fratelli, identificati come figli di Maria ai quali, in alcuni Codici giudicati canonicamente “inaffidabili”, risulta aggiunto anche “Giovanni”, il quinto figlio (in merito a questi manoscritti vedi I studio, parte seconda).
Con l’evolversi degli eventi, nel tempo, i traduttori falsari dovettero eliminare, sia nella storia che nei vangeli, le informazioni sui fratelli, figli di Giuda di Gàmala, in quanto sovrapponibili con i fratelli di “Cristo”, ma rimasero con…un uomo inesistente per la Storia: “Gesù”… senza identificazione anagrafica, né sul padre, né sulla data di nascita e di morte, né sulle sue gesta che erano e restano sconosciute a qualsiasi storico di quel periodo. “Gesù” fu, è, e rimarrà solo … un nome, mitizzato e reso famoso grazie ai pulpiti, concessi da TV di Stato e private.
Inoltre, la conoscenza “intima”, accompagnata ad un odio tipo “faida” che obbliga l’ebreo al “dovuto compianto per le vittime della ferocia” degli Zeloti, non è informazione legata a nomi individuabili, ma personale; un semplice sfogo emotivo letterario, tale, da non risultare in nessun documento ufficiale. Questa consapevolezza poteva provenire solo dai suoi familiari, nemici e “parenti prossimi” della dinastia potente, di discendenza asmonea come la sua, ma non rassegnata a sottomettersi ai Romani, bensì a rivendicare, come diritto, “il trono di Davide”.

Il giudizio reiterato di grande potere, sui discendenti di questa stirpe di ribelli patrioti che si immolò per rivendicare il trono d’Israele, fu espresso da Giuseppe, anch’egli appartenente ad una dinastia di discendenza asmonea tramite madre; tuttavia gli integralisti nazionalisti - favoriti dalla militanza dei giovani ebrei, aderenti in massa alla causa dello zelotismo antiromano (vedi sopra: cit. Ant. XVIII 10/24) - si dimostrarono molto “più potenti” … ma furono eliminati grazie alla super potenza di Roma. “Giovanni”, abbiamo visto, non è distinto dal casato né da una provenienza: i copisti eliminarono questi dati pensando di farla franca. Gli esegeti mistici moderni, con opportuno calcolo, hanno introdotto “di Giscala” nelle note per…aiutarci a “capire”.  Ma sappiamo, ormai con certezza, che gli ideatori dello zelotismo antiromano furono gli appartenenti alla famiglia di Giuda il Galileo, di cui lo storico fa i nomi dei primi responsabili, e li descrive come se fossero figure di spicco fra i Giudei di allora: Giovanni e Simone.
Il nome “Giovanni”, unito a qualsiasi patronimico, gli amanuensi lo avrebbero lasciato…tranne per Giuda il Galileo: fu suo figlio che “morì fra i più atroci tormenti fino all’ultimo istante di vita”; non finì prigioniero a vita come Giovanni di Giscala figlio di Levi. (Bellum VI, 434). Lo stesso dicasi per l’appellativo “il Nazireo”, o la città di provenienza “Gàmala”: nessuna di queste nozioni doveva risultare perché ne avrebbe permesso il riconoscimento. Un “Gesù Salvatore” rivoluzionario, un Rabbino fariseo zelota, un capo guerrigliero antiromano la cui religione gli imponeva di usare la forza per liberare la terra di Israele dal dominio pagano! No! La nuova dottrina gesuita non poteva ammettere questa realtà, perciò tutti gli appellativi che avrebbero permesso l’identificazione rivoluzionaria del “Messia universale”  dovevano essere eliminati!

Ancora un aspetto da sottolineare nei par. 271 e 272, ove leggiamo:fecero tutti la fine che meritavano; infatti tutti i castighi che mai possano colpire un uomo si abbatterono su di loro, anche  fino allultimo istante di vita, facendoli morire fra i più atroci tormenti dogni sorta.
In questo brano, lo storico, oltre a Giovanni e Simone, si riferisce, ovviamente, anche a Giuda il Galileo, ma non a Eleazar. Infatti l’ultimo discendente, nel momento in cui lo scrittore rievoca le gesta di Giuda e dei suoi figli, è sempre vivo, arroccato a Masàda. Questo particolare è molto importante perché, nelle sue opere (censurate) non risulta che Giuseppe Flavio abbia riportato la morte del padre dei “fratelli Galilei”.
Nel VII studio, al capitolo riguardante la stirpe degli Asmonei, abbiamo individuato che Giuda fu crocifisso dai Romani nel 17 d.C., sotto il governo di Valerio Grato, quindi, prima dei suoi figli, subì il supplizio “morendo fra i più atroci tormenti d’ogni sorta, fino all’ultimo istante di vita”. La sua cattura poté avvenire solo a seguito di uno scontro militare, non a Gàmala: la città di Giuda il Galileo era imprendibile dagli eserciti dei Tetrarchi, Re, Prefetti o Procuratori imperiali. Solo un poderoso esercito, agli ordini di un Legatus Augusti pro Praetore, era in grado di abbattere le mura di Gàmala: roccaforte inespugnabile degli Asmonei.

Riguardo le similitudini di “Simone” del memoriale (fatto apparire dagli amanuensi come “figlio di Giora”) con Simone detto Kefaz”, ovvero “san Pietro” (vedi I studio), rileggiamo il giudizio lapidario rilasciato dallo storico israelita Giuseppe:

265 “D’altra parte, poi, Simone figlio di Giora quale delitto non commise? Quale sopruso risparmiò a coloro che come liberi cittadini lo avevano eletto a loro capo?.

Accusa che calza come un guanto con le imprese di cui risulta autoresan Pietro”, altrimenti citato nei vangeli come Simone detto Kefaz (vedi le prove a fine I studio) riferite in “Atti degli Apostoli”; illuminante esempio della misericordia attuata da Simone Pietro, successore di Cristo, Principe degli Apostoli e detentore delle chiavi del Paradiso ... gesta che nessun prete osa citare come “parabola” domenicale:

“Un uomo di nome Ananìa con la moglie Saffira vendette un suo podere e, tenuta per se una parte dell’importo, d’accordo con la moglie, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. Ma Pietro gli disse:“«Ananìa, perché mai Satana si è così impossessato del tuo cuore che hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e, anche venduto, non era sempre a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a questa azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio ». All’udire queste parole, Ananìa cadde a terra e spirò. E un timore grande prese tutti quelli che ascoltavano. Si alzarono allora i più giovani e, avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo seppellirono. Avvenne poi che, circa tre ore più tardi, entrò sua moglie Saffira, ignara dell’accaduto. Pietro le chiese: «Dimmi: avete venduto il campo a tal prezzo?». Ed essa: «Si, a tanto ». Allora Pietro le disse: «Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore? Ecco qui alla porta i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito e porteranno via anche te». D’improvviso Saffira cadde ai piedi di Pietro e spirò. Quando i giovani entrarono, la trovarono morta e, portatala fuori, la seppellirono accanto a suo marito. E un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa e in quanti venivano a sapere queste cose”. (op. cit. 5,1/11)

E’ lo stesso modus operandi del Simone denunciato sopra da Giuseppe Flavio. Pertanto, nella consapevolezza che "Simone detto Kefaz" ci consente di identificare in "san Simone Pietro" - altrimenti detto nei vangeli "Simone Zelota Barionà" (aramaico = latitante) - il capo zelota ricercato dai Romani, abbiamo le prove che gli Zeloti erano Farisei rivoluzionari fuori legge, di conseguenza i sacerdoti appartenenti al Movimento di Liberazione Nazionale non avevano la possibilità di riscuotere le decime dei raccolti (Ant. XX 181) spettanti per diritto soltanto ai sacerdoti Sadducei e Farisei conservatori, in quanto filoromani. Per risolvere il problema e poter condurre la dispendiosa lotta armata contro Roma, i sacerdoti Zeloti, per finanziarsi, decisero di imporre tributi agli Ebrei possidenti adottando metodi persuasivi violenti.
Oltre alle imprese evangeliche relative ai Boanerghes, i Figli dell’Ira di Dio (vedi I studio), questa testimonianza rappresenta il capo di imputazione che consentì al Procuratore Tiberio Alessandro di processare pubblicamente a Gerusalemme, durante il suo mandato (dal 46 al 48 d.C.), Simone e Giacomo, due figli di Giuda il Galileo, condannandoli alla crocifissione (Ant. XX 102).

Lo storico ebreo Giuseppe, nobile conservatore e rampollo della più elevata aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme, discendente dagli Asmonei per parte di madre, nacque nel 37 d.C., qualche anno dopo, secondo i vangeli, che un "Re dei Giudei" fu crocifisso dai Romani in ottemperanza ad una delibera del Sinedrio, incredibilmente avallata dal popolo stesso che lo aveva osannato ... Una farsa di "processo" montato in funzione di una dottrina ma in contrasto alla legge di Roma, essenziale a conservare il proprio dominio imposto da capaci condottieri di eserciti. Nella realtà non sarebbe mai avvenuto che il distaccamento militare romano, di stanza nella Fortezza Antonia, anziché al Tribuno imperiale di Gerusalemme, si sottoponesse agli ordini di "Giuda il traditore" per arrestare "Gesù" (Gv. 18,3), il proclamato "Re dei Giudei", mentre la Giudea era governata dal Prefetto Ponzio Pilato per volontà dell'Imperatore Tiberio.   
Il vero Diritto Romano, coerente al potere imperiale, l'unico ad aver autorità, imponeva direttamente al "Legatus Augusti pro praetore", Governatore provinciale, di eliminare chiunque si fosse insediato autonomamente sul trono in un territorio sotto dominio di Roma.

Nella realtà, i genitori dello storico fariseo, Giuseppe bar Mattia, residenti in Gerusalemme, il 36 d.C. presenziarono all'esecuzione di "Giovanni" decretata dal Legato imperiale di Siria, Lucio Vitellio, dopo che l'anno prima, il 35 d.C., il capo degli Zeloti aveva organizzato una rivolta durante la quale vennero uccisi Sommi Sacerdoti del Tempio e
"sfasciarono tutto ciò che restava degli ordinamenti civili" (Bellum VII 267).
Il solo "ordinamento civile" nella Giudea di "quell'epoca", era costituito dal governo prefettizio di Ponzio Pilato, stanziato a Cesarea Marittima, la capitale imperiale di quella Provincia, mentre in Gerusalemme la massima autorità romana era rappresentata dal Tribuno militare di rango eguestre, che, a capo di una coorte di 500 uomini ed una o più ali di cavalleria, dimorava nella Fortezza Antonia.
Come anticipato, saremo in grado di provare questa vicenda nel seguente X studio; intanto procediamo nella ricerca per connotare meglio, caratterialmente e ideologicamente, il rivoluzionario "Giovanni il Nazireo", figlio primogenito di Giuda il Galileo.
 
Verificato, tramite l'analisi del precedente VII studio, che la città di “Gesù”, descritta nei Vangeli, non corrisponde alla “Nazaret” odierna bensì a Gàmala, la città di Giuda il Galileo e dei suoi figli, i quali avevano gli stessi nomi dei fratelli di “Gesù Cristo, nostro Signore”… se ne deduce che “Nazaretservì a giustificare il titolo diNazareno”, modifica letteraria di “Nazireo”, ossia il consacrato a Dio tramite il voto “Nazir”: una promessa che obbligava gli adepti a non bere vino e non tagliarsi barba e capelli.
Nei vangeli il voto è stato falsamente accreditato a Giovanni "Battista" perché il nazireato era incompatibile con la nuova dottrina cristiano gesuita: contrastava con il rito eucaristico della trasformazione del vino nel sangue.
Un “Nazireo”, vincolato dal voto “Nazir”, non avrebbe mai potuto bere il vino nellultima cena per poi trasformarlo in sangue da far bere ad altri Ebrei “Apostoli”, per giunta suoi fratelli, come dimostrato nel I studio.
Fu questa esigenza della nuova teologia a costringere i Padri fondatori della dottrina cristiana (che prometteva "la salvezza eterna"), come riferito nel vangelo di Giovanni, a sovrapporre (avendo entrambi lo stesso nome) il falso nazireo Giovanni Battista a quello vero, Giovanni, il maggiore dei fratelli, figli di Giuda il Galileo

 

In base alla Legge degli antichi Padri, i Giudei non attendevano “l’Unto di Yahwè” per crocifiggerlo, mangiarlo come un "Hostia" pagana e berne il sangue; il loro Messia doveva essere un Re condottiero: un Salvatore (Yeshùa) della terra d’Israele dalla dominazione pagana.

Il rituale del sacrificio teofagico eucaristico, che contemplava bere il sangue della "vittima sacrificata agli Dei" (lat. "Hostia"), fu ripreso dalle dottrine pagane e innestato nella religione ebraica tramite il Messia; venne adottato dai primi cristiani gesuiti nel III secolo, molto tempo dopo la seconda distruzione di Gerusalemme del 135 d.C. da parte dei Romani, mantenendo ancora la liturgia della "frazione del panepraticata dagli ebrei Esseni e descritta nel loro "Rotolo della Regola" ritrovato a Qumran.


Monaci e alto Clero, sin dall’inizio, sapevano di discendere ideologicamente dagli Esseni Terapeuti d’Alessandria come riferito, nel IV secolo, dai Vescovi Epifanio ed Eusebio di Cesarea (HEc. II 16,1-2).

Poiché i Vangeli non riportano la descrizione dell’aspetto del “Salvatore”, nei secoli futuri, “Gesù” fu da loro specificato, agli artisti che lo raffigurarono, vestito con il semplice camice bianco usato dagli adepti alla setta (Bellum II 123) e con capelli e barba lunghi, obbligatori per un Nazireo”, oppure con il manto color porpora degno di un Re ... perchè, effettivamente, Giovanni riuscì a divenire Re dei Giudei riconosciuto come loro "Yeshùa" nel 35 d.C.

 

Pur di non farlo apparire “Nazireo”, particolare che avrebbe messo in crisi “la dottrina della salvezza”, i Padri fondatori vollero dimostrare che non lo era, ma esagerarono nel senso opposto…e a un “Dio”, disceso sulla terra per “salvare” l’umanità, prima gli fecero trasformare l’acqua in vino, poi, senza scrupolo alcuno, lo fecero passare per “beone” e “mangione” insieme a “peccatori” (per gli Ebrei peccava chi mangiava cibi proibiti) e a pubblicani, cioè gli esattori dei tributi dovuti dai Giudei a “Cesare”.

Al fine di impedirne la identificazione con gli Zeloti che lottarono contro i tributi, i falsari ideologi, con volgarità, preferirono far passare “Gesù” per un ebreo “crumiro mezzano” che, con i suoi “discepoli”, prima di essere osannato dal popolo di Gerusalemme come "Cristo Re", era dalla parte dei Romani anziché dei suoi connazionali, sino al punto di nominare un pubblicano, Matteo, suo “Apostolo”:

 

“Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla di pubblicani e d’altra gente seduta con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?» (Lc 5,29-30);

"Interrogato poi: «E’ lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?»… egli disse: «date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio» (Lc 20,22/25) …

 

Risposta precisa che vuol dire: pagate le tasse all’Imperatore e poi pregate. In barba al Credo nazionalista che pervadeva la società giudaica e mobilitava una gioventù, astiosa e turbolenta, insofferente al dominio romano pagano sulla Terra Promessa da Yahweh al "popolo eletto". 


I Padri fondatori del Cristianesimo - in un futuro ormai evoluto e diverso politicamente in conseguenza delle sanguinose guerre contro Roma - si resero conto che le vicende narrate traevano origine da fatti reali che videro protagonisti i màrtiri irredentisti della patria Giudea. Eroi che, pur se mitizzati inizialmente, col tempo erano entrati in contrasto con la nuova dottrina perché di ideali rivoluzionari, tutt'altro che docili come "agnelli di Dio".

Andavano apportati cambiamenti per rendere più credibile il sacrificio di unSalvatore”, in quanto incarnato in un vero uomo, diverso da quello delle religioni pagane basato solo su miti; sacrificio teofagico avente per fine la vita eterna che, unito alla speranza di guarigioni miracolose, era diventato il cavallo vincente del cristianesimo gesuita.

 

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne (Gv 6,51).

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò (Gv 6,54).

 

Questa era la nuova dottrina che faceva presa su masse di nuovi proseliti: linnesto del sacrificio del "Soter" Σωτήρ (Salvatore) pagano nella religione ebraica tramite il Messia”, Yeshùa dei Giudei
Messia non disceso dal cielo, come postulato inizialmente dai mistici creatori dei vangeli primitivi, profetato dagli Esseni nel frammento manoscritto di Qumran (4Q286/7)
“…lo Spirito Santo che si posa sul suo Messia…” e ripreso letteralmente nel vangelo di Luca (Lc 3,22), ma un Salvatore partorito da una “vergine”, in una grotta.

"Grotta" è il vocabolo riportato nei testi medievali accreditati a Giustino e Orìgene; simile alla "Natività" di altri credi, con un sincretismo mirato, soprattutto con il Dio Mitra.

Sconfitto il concorrente Dio Mitra, la grotta” (mitreo) sparirà dai Vangeli proprio per recidere una delle matrici ideologiche pagane … ma essa rimarrà impressa ugualmente nella memoria popolare, superando i secoli, fino ad oggi, smentendo gli stessi Vangeli canonici ... con la "benedizione", a denti stretti, della Santa Sede.

 

Non era più necessario uccidere animali e berne il sangue, rituale sacro riservato a neofiti pagani benestanti, seguaci dei Culti Misterici, troppo costoso per la plebe. Bastava seguire una liturgia con semplice frazione del pane vivo consacrato per avere diritto alla vita eterna. La stessa liturgia, senza rito teofagico, descritta dagli Esseni nella “Regola della Comunità” di Qumran.
Il Vangelo di Giuda, un manoscritto originale, sopravvissuto alle devastanti censure ecclesiastiche, venuto alla luce di recente e datato al 275 d.C., tramite verifica con la spettrometria di massa, ci descrive un “Gesù” e un Dio Creatore diversi da quelli raffigurati dalla Chiesa: non parla di Pilato, né di rito eucaristico teofagico avvenuto nella “ultima cena”, tanto meno di “Resurrezione”.

Siamo di fronte ad un “Salvatore” ancora in parte giudaico, ma non condottiero di un popolo che lotta per liberare la sua terra invasa dai pagani. Lo stesso vale per altri Vangeli scoperti a Nag Hammadi, in Egitto, nel 1945; diversità riscontrate anche nei papiri di Ossirinco d'Egitto.

Questo per rimarcare le differenze teologiche esistenti, fra dottrine in embrione elaborate dagli Esseni dopo l'olocausto giudaico del 135 d.C. sotto Adriano, seguite dai primi “Cristiani”; e quanto si rese inevitabile per la “Chiesa”, a partire dagli autenticiPadri” del IV secolo d.C., selezionare e unificare i diversi “Credi” cristiano-gesuiti con la distruzione dei rispettivi vangeli.

 

Ancora prima della vittoria di Costantino sul pagano Massenzio nel 312 d.C., svariate correnti teologiche cristiane iniziarono una guerra fra loro, che si protrarrà per oltre un secolo, nella convinzione che ognuna di esse fosse depositaria della autentica “Rivelazione sulla Verità della Salvezza”, o della vera “Sostanza del Salvatore”, o della “gnosi del Figlio a forma del Padre” o di quante “Potenze o Sostanze” dovesse essere composto “Il Verbo” o il “Logos”: se da un “Padre Ignoto, Infinito e Informe”; o se dovesse essere Dio, tramite un “Battesimo Illuminante” a creare "Suo Figlio come Umanizzazione dello Spirito”; o se dovesse essere "lo Spirito Santo, in una perfetta ipostasi col Padre e col Figlio, a far generare da una Vergine, secondo la carne, il Verbo fatto carnein una consustanziale e coeterna Trinità”… Finché non venne coniato il “Verbo” definitivo, che sarà descritto dettagliatamente nelle enciclopedie ed i vocabolari di tutto il mondo: Transustanziazione. Ovvero:

 

“Il rituale attraverso il quale si attua la presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù nell’Eucaristia, con la conversione della sostanza: del vino nel Sangue e del pane nel Corpo di Gesù Cristorimanendo immutate solo le apparenze del pane e del vino.

E tutto ciò, grazie ad un universale lavaggio del cervello, fu introdotto in una “ostia”. “Hostia”: Vittima sacrificale che i pagani offrivano agli Dei” sopra un “Altare”: lastra di pietra, elevata dal suolo, su cui venivano consumati i sacrifici”.

 

Erano gli Episcopi, Patriarchi e Imperatori “Pontefici Massimi”, tutti auto nominatisi  Venerabilissimi e Santi, i quali, fabulando, creavano le divinità da fare adorare agli uomini. Divinità così contrastanti fra loro, ideologicamente, da ingenerare tensioni e guerre; conflitti talmente cruenti che si rese necessario indire Concili su Concili per tentare di “conciliare” dottrine scismatiche che preferirono massacrarsi, accusandosi reciprocamente, come eretiche, apostate o folli. Dottrina contro dottrina … Santi contro Santi … uomini contro uomini, persecuzioni e martirii di Cristiani contro Cristiani, seguaci di Cristi diversi … potere contro potere … morte contro morte … per la vita eterna.

 

Noi abbiamo sopportato da parte degli eretici le persecuzioni, le tribolazioni, le minacce per la fede … Si deve anatemizzare ogni eresia, specialmente quella degli Eunomiani o Amonei, degli Ariani o Eudossiani, dei Serniariani e Pneumatomachi, dei Sebelliani, dei Marcelliani, dei Fotiniani e degli Apollinaristi” Basilidiani, Docetisti, Carpocraziani, Cleobiani, Cerintiani, Modalisti, Adozionisti, Dositei, Marcioniani, Masbotei, Montaniani, Maniani, Novaziani, Simoniaci, Donatisti, Priscilliani, Menandrianisti, Pelagiani, Monofisiti (Copti), Nestoriani, Abelliani, Valentiniani, Saturnilliani ecc…

 

E il massacro fra i Cristiani continuò, nel IV e V secolo, sino a che tutte le dottrine cristiane dichiarate “eretiche” furono eliminate, con i rispettivi vangeli, da quella vincente sopravvissuta…come una sorta di “naturale evoluzione adattativa delle spècie religiose”: il Cristianesimo cattolico odierno.

L'odio profuso dagli aspiranti Capi all'ecumene cattolica viene così descritto da Ammiano Marcellino, il maggiore degli storici imperiali del IV secolo d.C., nelle sue "Res Gestae" ultimate entro il 378 d.C.:


"Nessuna belva é così ostile con gli uomini come la maggior parte dei cristiani fra loro" (ib XXII 5,3-4).


Concepire una nuova figura teologica di “Messia Salvatore”, sin dall’inizio, non fu semplice per le sette degli Esseni sparse a oriente dell’Impero … tenuto conto che, tutt’oggi, ognuno (non gli atei) immagina il suo “Dio” secondo le proprie “esigenze” o fantasie …

 

I nuovi Padri "evangelisti" studiano i manoscritti disponibili; eliminano la paccottiglia ridicola; dichiarano eretica quella astratta fondata su una “gnosi”, più adatta ad asceti portati all’esaltazione mistica, ma poco richiesta e poco praticata, perché incompresa, da un popolo bisognoso “di eternità” e di miracoli “terapeutici”.

Distruggono molti vangeli con i relativi “Gesù”, diversi e in contrasto teologico fra loro, che dimostrano, troppo apertamente, i molteplici tentativi di “costruzione” della nuova religione. Li chiamano “apocrifi”, che vuol dire “celati”… locuzione ipocrita come chi la usò impropriamente.

Scrivono gli “Atti degli Apostoli” per "testimoniare" e "dimostrare storicamente" la diffusione della nuova dottrina evolutasi dai vangeli primitivi esseno-giudaici accordandola alle esigenze “universali” del nuovo “Credo”, ma devono manipolare la compromettente identità dei "fratelli di Gesù", trasformandoli inApostoli”, replicati, incaricati di predicare e diffondere la "Vera Fede voluta da Dio".

A conclusione di questa evoluzione "adattativa" dei manoscritti nel corso dei secoli, nella nuova teologia sono rimasti, sino ad oggi, nei vangeli in greco e latino, termini e vocaboli autentici (in passato non compresi) che denunciano l'origine zelota antiromana di una dottrina filo giudaica ... prima di essere "redenta" dal cristianesimo paolino.
Nelle fonti storiche, come nei vangeli e nei testi patristici, sono state apportate correzioni per impedire il riconoscimento dei veri protagonisti ed il contesto politico che impose a Giovanni, capo degli Zeloti, figlio maggiore di Giuda il Galileo, di attaccare la guarnigione romana di stanza in Gerusalemme e liberare la Città Santa dal dominio imperiale mentre Roma era impegnata in guerra contro l'Impero dei Parti. Nel contempo, in Giudea, una gravissiva carestia mieteva numerose vittime tra la popolazione indigente al punto " ... venne poi la carestia che rese gli Zeloti sfrenati in modo travolgente ...". Una penuria di viveri talmente grave da indurre la popolazione giudaica, sotto la guida degli Zeloti, a ribellarsi contro le autorità costituite e distruggere l'ordinamento politico vigente. 

L'analisi minuziosa delle cronache dell'epoca, comparata ai resoconti degli storici cristiani, evidenzia contraffazioni talmente grossolane, a partire dal camuffamento della carestia, che ci consentiranno di accertare come si svolsero gli eventi reali.

Seguitiamo lo studio nel successivo argomento e verifichiamolo insieme.

 

 

Emilio Salsi

 

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